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Assente ingiustificato il dipendente che non prende servizio nella sede ove è stato temporaneamente trasferito

Assente ingiustificato il dipendente che non prende servizio nella sede ove è stato temporaneamente trasferito

Nota a cura di Tommaso Targa

Tribunale di Messina, ordinanza 17 gennaio 2017

Con l'ordinanza in commento (emessa al termine della fase sommaria di un procedimento con "rito Fornero"), il Tribunale di Messina ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato a un dipendente che, "distaccato" per ragioni tecnico organizzative presso una sede diversa da quella di adibizione, ha rifiutato di prendere ivi servizio, ritenendo invalido il provvedimento aziendale.

Anzitutto, l'ordinanza ha evidenziato che, a prescindere dalla formale denominazione con cui l'azienda ha qualificato il provvedimento, esso costituisce una trasferta, trattandosi di una temporanea adibizione ad una sede diversa del datore di lavoro. Il "distacco" - così era stato denominato dell'azienda - presuppone l'assegnazione temporanea presso un soggetto terzo rispetto al rapporto di lavoro.

Nel caso di specie, pertanto, il provvedimento aziendale non aveva natura sostanziale di distacco, poiché il dipendente era stato temporaneamente assegnato ad una diversa unità produttiva del datore di lavoro. Ma nemmeno era un trasferimento, poiché disposto per ragioni di carattere temporaneo.

Al riguardo, la sentenza sottolineato che "il trasferimento consiste in un mutamento (tendenzialmente) definitivo e non già temporaneo, come nel caso della trasferta, che si distingue dal trasferimento perché è indefettibilmente caratterizzata dalla temporaneità dell'assegnazione della lavoratore ad una sede diversa da quella abituale ed è connotata dalla necessaria temporaneità dell'assegnazione che costituisce, quindi, requisito della trasferta".

Partendo da tale considerazione, l'ordinanza ha escluso che il lavoratore potesse invocare la previsione del C.C.N.L. di categoria secondo cui il trasferimento deve essere preceduto da un preavviso e, in certe ipotesi (quelle asseritamente presenti nel caso di specie) richiede il consenso del lavoratore. Infatti, poiché il provvedimento aziendale di che trattasi difetta in origine del carattere di definitività, esso non costituisce un trasferimento in senso tecnico e, quindi, non comporta l'applicazione della relativa disciplina di legge e di contratto. D'altro canto, il contratto collettivo applicabile al caso di specie disciplina la trasferta sotto il profilo del trattamento economico e non richiede il consenso del lavoratore.

In secondo luogo, l'ordinanza ha rilevato che la trasferta del dipendente licenziato è stata disposta in attuazione di un accordo sindacale che, ad esito di una procedura sindacale di trasferimento collettivo, ha stabilito per l'appunto la trasformazione dei provvedimenti aziendali, originariamente trasferimenti a tempo indeterminato, in un "distacco" di 12 mesi. Il preavviso previsto dal contratto collettivo in ipotesi di trasferimento, ancorché non necessario nel caso di specie, è stato nella sostanza dato dall'azienda per il tramite delle RSU.

Da ultimo, tenuto conto della sussistenza del fatto addebitato, ossia l'assenza ingiustificata, l'ordinanza ha escluso che il licenziamento possa ritenersi nullo in quanto discriminatorio. In proposito, il lavoratore aveva sostenuto che la discriminazione sarebbe in re ipsa, essendo pendente tra le parti, al momento del licenziamento, una causa di impugnazione della cigs.
L'ordinanza ha giudicato che "la circostanza di aver introdotto un giudizio avverso la società resistente… si rivela, da sola, inidonea a dimostrare il carattere ritorsivo del recesso, che deve costituire, tra l'altro, motivo esclusivo nella determinazione del datore di lavoro diretta all'espulsione del lavoratore".

 

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