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Trasferimento e assenza dal lavoro per motivi di salute: il dipendente deve dimostrarli rigorosamente, pena il licenziamento per giusta causa

Scritto da Admin | 28 gennaio 2019

Trasferimento e assenza dal lavoro per motivi di salute: il dipendente deve dimostrarli rigorosamente, pena il licenziamento per giusta causa

 

Un lavoratore che, in seguito a un trasferimento, rifiuta di prendere servizio nella nuova sede per addotte ragioni di salute, deve dimostrare in modo rigoroso le condizioni che lo rendono impossibilitato a lavorarvi. Lo ha chiarito il Tribunale di Messina in una sentenza emessa lo scorso 26 ottobre 2018. 

I fatti: il trasferimento, l’assenza dal lavoro e il licenziamento per giusta causa

La vicenda oggetto della citata sentenza riguarda un lavoratore che, essendo stato trasferito per ragioni tecnico-organizzative presso una nuova sede aziendale, aveva rifiutato di prendervi servizio, ritenendo il provvedimento aziendale incompatibile con la propria situazione di salute. La Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa da parte dall’azienda.

Dopo essere stato trasferito, il dipendente non si era presentato al lavoro, producendo certificati medici che riportavano l’insorgenza di "disturbi caratterizzati da agitazioni psicomotorie, paure immotivate, crisi di pianto, idee pessimistiche". La documentazione, però, è stata ritenuta dalla Corte non idonea a provare un'oggettiva impossibilità a prestare l'attività lavorativa.

Da qui l’indicazione generale: la pretesa impossibilità di prendere servizio presso una nuova sede per asserite ragioni di salute deve essere dimostrata in modo rigoroso dal lavoratore. È su di lui che incombono gli oneri probatori, cioè l'obbligo di fornire le prove di quanto afferma, prove che – ha chiarito la Corte - non possono essere portate da una Consulenza Tecnica d’Ufficio.

Non è stata ritorsione: gli antefatti della sospensione in Cigs e della causa pendente

Il lavoratore, inoltre, lamentava che il licenziamento potesse essere stato intimato come forma di ritorsione da parte dell’azienda: prima di essere trasferito, infatti, egli era stato collocato in Cassa integrazione straordinaria e aveva avviato una controversia di impugnazione nei confronti di tale provvedimento, che era ancora pendente al momento del licenziamento. Ma il Tribunale ha escluso anche l’ipotesi della ritorsione.

Al contrario, la sentenza ha sottolineato che la precedente sospensione in Cigs non fa altro che confermare l’esistenza di reali motivazioni aziendali che hanno reso necessario il trasferimento nella nuova sede. Nessun motivo illecito, quindi, è stato riconosciuto alla base del licenziamento.

Che cos’è il licenziamento per giusta causa?

Il licenziamento per giusta causa è un provvedimento disciplinare che l’azienda può adottare quando l’inadempimento di cui un dipendente si renda responsabile risulti talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro neanche per la breve durata del periodo di preavviso. È regolamentato dall’articolo 2119 del Codice Civile. In tali casi estremi, il datore di lavoro può comunicare al dipendente la cessazione del rapporto di lavoro con effetto immediato e senza obbligo di preavviso.

Nel caso della sentenza appena riportata, la giusta causa individuata è stata l’assenza ingiustificata dal posto di lavoro, causata dal rifiuto a prendere servizio in seguito a trasferimento. Il licenziamento per giusta causa è legittimo in altri casi, alcuni dei quali sono:

  • falsificazione di certificato medico, badge o cartellino presenze
  • reato commesso nella vita privata che può pregiudicare l’immagine dell’azienda
  • comportamento concorrenziale nei confronti dell’azienda
  • furto di beni aziendali
  • abbandono del posto di lavoro
  • rifiuto di rientrare in servizio dopo la malattia
  • diverbio litigioso seguito alle vie di fatto

Il licenziamento per giusta causa può essere intimato non solo se il dipendente mette in atto condotte dolose (cioè coscienti e intenzionali); ma anche se egli agisce in maniera gravemente colposa (non intenzionali), ledendo però il rapporto di fiducia con il datore di lavoro in modo irrimediabile.

 

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