Causa seguita da Tommaso Targa
(Tribunale di Udine, decreto di rigetto 11 giugno 2018)
È inammissibile la domanda, proposta in via cautelare ex art. 700 cod. proc. civ., con cui un'azienda ha chiesto la condanna di un suo ex dipendente a rassegnare le dimissioni dal nuovo rapporto di lavoro, in quanto instaurato in pretesa violazione di un patto di non concorrenza.
Tale inammissibilità discende dalla incoercibilità del preteso obbligo invocato, ossia quello di rassegnare le dimissioni.
Non possono valere, nell'ambito di un procedimento cautelare, le considerazioni in base alle quali la prevalente giurisprudenza ritiene ammissibile la condanna ad un facere infungibile, ad esito di un giudizio ordinario. Infatti, mentre in quest'ultimo caso la condanna ad un facere infungibile consegue a un accertamento, idoneo a fungere da giudicato e produrre effetti di natura sostanziale, nell'ambito di un procedimento cautelare vi è una inevitabile "inscindibilità tra aspetto cognitivo e aspetto esecutivo... in quanto entrambi gli aspetti sono mezzi per l’attuazione della cautela".
Inoltre, secondo il decreto in commento, l'ordinamento non prevede neppure alcuna forma di coercizione indiretta con riferimento a un ordine incoercibile, emesso in via cautelare. Il decreto ha esaminato le possibili fattispecie in cui potrebbe ricadere l’omessa ottemperanza all’ingiunzione cautelare, e ne ha escluso l’applicabilità: "a) la disposizione dell'art. 650 cod. pen. riguarda unicamente provvedimenti amministrativi; b) la previsione dell'art. 388 cod. pen. punisce, al comma 1, la sola fraudolenta elusione di una esecuzione forzata in se ammissibile, e sanziona, al comma 2, la mancata ottemperanza al provvedimento cautelare ove si tratti di dictum prescrittivo di prestazioni personali di facere, ma in poste a difesa della proprietà del possesso o del credito, per credito dovendosi intendere, nel rispetto del principio di tassatività penale, non ogni pretesa che attende di essere soddisfatta dell'altrui contegno, ma unicamente quelle riguardanti il pagamento di somme di denaro; c) l'art. 614 bis cod. proc. civ., nell'introdurre all'interno del nostro ordinamento processuale un'innovativa fattispecie di astreintes, ha significativamente escluso dal suo ambito applicativo proprio le controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409”.
Ferma l'inammissibilità dell'istanza cautelare, in quanto incoercibile, il decreto ha rigettato il ricorso anche per carenza del periculum in mora.
In proposito, il decreto ha ritenuto che il periculum, in materia di violazione di patti di non concorrenza, non possa essere considerato in re ipsa perché, se così fosse, di fatto dovrebbero essere trattate in via d'urgenza "tutte quelle situazioni di conflitto fisiologicamente destinate ad alterare l'equilibrio dei rapporti negoziali". Di conseguenza, il ricorso d'urgenza deve necessariamente contenere una seppur minima prospettazione di un pregiudizio imminente e irreparabile.
Nel caso di violazione di un patto di non concorrenza, il pregiudizio consiste nel vantaggio competitivo eventualmente acquisibile dal nuovo datore di lavoro con l'impiego della risorsa che è stata assunta in violazione del patto, in quanto depositario di speciali ed esclusive conoscenze tecniche, operative, commerciali o di altra natura, che vanno dedotte dal ricorrente.
Nel caso di specie, il periculum in mora è stato ritenuto vieppiù insussistente alla luce del fatto che il ricorso d'urgenza è stato depositato a distanza di 5 mesi dalle dimissioni del lavoratore il quale peraltro, allorché le ha rassegnate, ha dichiarato candidamente che sarebbe andato a lavorare per un concorrente, in violazione del patto concluso inter partes.