di Andrea Beretta
Un lavoratore subordinato, che svolgeva mansioni di tecnico adibito all’installazione, manutenzione e riparazione di linee telefoniche, dati, nonché apparati informatici connessi (quali router, modem, stampanti e decoder, da installare presso l’utenza), adiva il Tribunale di Milano, chiedendo l’attribuzione di un livello superiore previsto dal contratto collettivo (e le conseguenti differenze retributive). Assumeva, infatti, che la propria attività lavorativa presupponesse elevate conoscenze specialistiche, adeguata autonomia e decisionalità, requisiti espressamente annoverati dalla declaratoria relativa al livello preteso.
Si costituiva in giudizio la società datrice di lavoro, la quale negava la presenza dei menzionati requisiti, rivendicava la correttezza della qualifica attribuita al tecnico e, dunque, chiedeva il rigetto del ricorso. Il Tribunale di Milano, innanzitutto, dava atto della condivisione dell’orientamento giurisprudenziale consolidato, in materia, che prevede che il procedimento logico-giuridico, diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato, si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale selezionati nella seconda. Poste tale premesse, il Giudice del Lavoro, accertate - anche mediante assunzione della prova per testimoni - le mansioni effettivamente svolte dal ricorrente ed esaminate le declaratorie collettive di riferimento, verificava che le prime non fossero riconducibili a quelle proprie del livello richiesto, come descritte e caratterizzate nel contratto collettivo.
Nel merito, riteneva, infatti, che dalle risultanze istruttorie fosse emerso che le attività in questione venissero svolte attraverso l’utilizzo di strumentazioni che non lasciavano affatto spazio alla decisionalità o all’elevata professionalità, in quanto trattavasi di semplici misuratori (adoperati, in sostanza, per verifiche sulla linea telefonica e internet) che, come tali, fornivano un riscontro oggettivo e non consentivano, dunque, valutazioni individuali.
Inoltre, evidenziava che, dalle prove acquisite, fosse risultato come il tecnico si occupasse di semplici operazioni di costruzione di linee telefoniche e dati e di individuazione di relativi guasti. Quanto, poi, agli apparati informatici da porre in funzione presso l’utenza, quali modem, router, stampanti o decoder, rilevava che il tecnico stesso - sempre da quanto emerso dalla prova per testi -non provvedesse alla configurazione dei relativi software, di norma autoinstallanti, né alla riparazione degli apparati stessi (che, in caso di malfunzionamento, erano, di norma, soltanto sostituiti). Pertanto, il Giudice dichiarava che il dipendente, in tal contesto lavorativo, non fosse certo in grado di assicurare la piena funzionalità dei sistemi in relazione a cui operava (con conseguenti limiti di conoscenze specialistiche e autonomia).
Infine, per completezza di ragionamento, evidenziava, altresì, che, poiché era ulteriormente emerso che il tecnico operasse sostanzialmente da solo, questi non avrebbe mai potuto svolgere neanche un controllo ed un coordinamento di altri operatori. Controllo e coordinamento che erano, però, anch’essi tratti peculiari della più elevata qualifica pretesa.
In definitiva, poiché il lavoratore non aveva assolto al proprio onere di dimostrare, con riferimento alle proprie effettive mansioni disimpegnate, il possesso di elevate conoscenze specialistiche, l’autonomia e la decisionalità, nonché il controllo e il coordinamento - ossia le caratteristiche tipizzate nella declaratoria del superiore livello contrattuale rivendicato - il Giudice del Lavoro respingeva il ricorso, confermando la correttezza dell’inquadramento e del profilo professionale attribuito dal datore di lavoro.