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La Suprema Corte torna a pronunciarsi sui limiti all’utilizzo di agenzie investigative finalizzato ad accertare la commissione da parte del lavoratore di fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare

Scritto da Giuseppe Sacco | 4 ottobre 2022

di Giuseppe Sacco (Diritto del lavoro)

Ad un lavoratore, dipendente di una banca e con orario e sede di svolgimento dell’attività flessibili, era stato contestato disciplinarmente di essersi allontanato dal luogo di lavoro durante l’orario di lavoro per svolgere attività non connesse a quella lavorativa, in luoghi distanti anche decine di chilometri dalla sede di lavoro. In particolare, tramite controlli effettuati da un’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro, erano stati registrati incontri in supermercati e palestre.

Dopo le pronunce dei giudici di primo e di secondo grado che avevano accertato la legittimità del licenziamento irrogato per motivi disciplinari, il lavoratore ha promosso ricorso innanzi alla Corte di Cassazione ritenendo, tra l’altro, errata la statuizione della Corte d’Appello che aveva dichiarato legittimi i controlli effettuati mediante agenzia investigativa, in considerazione sia del rigoroso obbligo di fedeltà e dei correlati canoni di buona fede e diligenza nell’esecuzione del rapporto di lavoro, sia del fatto che le investigazioni che avevano interessato il lavoratore de quo erano originate da una più ampia indagine finalizzata ad accertare la violazione dei permessi ex art. 33 della Legge n. 104/1992 da parte di un altro suo collega.

Sotto ulteriore profilo, il lavoratore ricorrente ha censurato la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui aveva rigettato la di lui istanza istruttoria finalizzata ad ottenere un ordine di esibizione della relativa documentazione, tra cui vi era anche il mandato all’agenzia investigativa.

Con la recente ordinanza n. 25287 del 24 agosto 2022, la Cassazione, tornando a chiarire i confini di legittimità dei cc.dd. “controlli esterni” (ossia non effettuati direttamente dal datore di lavoro) mediante agenzie investigative, ha affermato che il controllo posto in essere da un soggetto esterno all’organizzazione aziendale – pur non precluso, di per sé, in modo assoluto – deve limitarsi all’accertamento di atti illeciti da parte del lavoratore e non può in nessun caso riguardare l’adempimento o l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale. Ed infatti, una siffatta forma di controllo sarebbe sottratta, ai sensi dell’art. 3 dello Statuto dei Lavoratori, ad un soggetto estraneo rispetto al datore di lavoro.

Pertanto, secondo la Suprema Corte, nei casi diversi dalla commissione di un illecito di astratta rilevanza penale (come l’esercizio durante l’orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi su cui v. Cass. nn. 5269 e 14383 del 2000) con conseguente esigenza di verificarne ed accertarne il contenuto (anche laddove vi sia solo il sospetto che tale illecito sia in corso di esecuzione), l’eventuale conseguente provvedimento disciplinare emesso sulla base di una relazione redatta dall’agenzia investigativa sarebbe illegittimo perché irrogato in violazione dei canoni di buona fede e correttezza, nonché dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, nella formulazione applicabile ratione temporis, che vieta i controlli che hanno mera finalità di accertamento dell’esecuzione della prestazione di lavoro dei dipendenti.

Ciò vale anche nel caso in cui l’attività investigativa posta in essere mediante controllo esterno sia occasionata da un diverso, legittimo, controllo posto in essere nei confronti di altro dipendente.

Inoltre, la Cassazione ha altresì ritenuto che la Corte d’Appello avesse errato nel non ammettere la produzione documentale richiesta dal lavoratore (tra cui vi era il mandato all’agenzia investigativa) ai fini del compiuto esercizio del di lui diritto di difesa, motivando tale affermazione in base al principio di buona fede che impone al datore di lavoro di fornire al lavoratore incolpato la documentazione necessaria a consentirgli di esercitare compiutamente il diritto di difesa.

La pronuncia in commento, dunque, impone di valutare con cautela l’utilizzo di soggetti “esterni” nello svolgimento di attività di indagine, posto che i relativi accertamenti non possono avere ad oggetto l’espletamento o il mancato espletamento della prestazione di lavoro, con conseguente difficoltà di accertare l’inadempimento all’obbligazione lavoristica, soprattutto nei casi in cui la prestazione sia svolta all’esterno dei locali aziendali.