A cura di Vittorio Provera
Il tema della disciplina dei rapporti tra banche e clienti investitori (soprattutto soggetti privati) nell’ambito della esecuzione di operazioni finanziarie quali acquisti di azioni, fondi, obbligazioni è ormai da anni al centro di un interesse giuridico rilevante, che ha determinato l’emissione di norme sempre più stringenti sia nazionali che comunitarie. In tale contesto, tuttavia, il livello di contenzioso è notevole, anche in considerazione delle molteplici fattispecie che si riscontrano nella quotidiana attività finanziaria.
In punto è intervenuta la Suprema Corte a Sezioni Unite, con la recente sentenza 16 gennaio 2018 n. 898, sul tema della necessità o meno, per la validità del contratto predisposto dalla banca, della firma anche dell’intermediario (quindi dell’Istituto di Credito).
La vicenda nasce da un’azione civile promossa da due investitori che avevano citato in giudizio la banca, con la quale avevano concluso un’operazione di acquisto di obbligazioni argentine nel periodo novembre dicembre 1999. Gli attori avevano eccepito la nullità del contratto quadro di investimento per mancanza di un valido atto negoziale, in quanto privo della sottoscrizione dell’intermediario. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 11542 del 2009 , non aveva accolto le tesi degli attori. In sede di impugnativa, la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 30 gennaio 22 marzo 2012, aveva riformato la decisione dichiarando la nullità dell’accordo quadro per mancanza di un elemento essenziale. In particolare il Giudice di secondo grado, premesso che il contratto quadro deve redigersi in forma scritta a pena di nullità (ai sensi dell’art. 23 del d.lgs 24 febbraio 1998 n. 58 cd. T.U.F.), aveva rilevato che in causa era stato prodotto solo un modulo contrattuale predisposto dalla banca e sottoscritto dai clienti, privo di manifestazione di volontà negoziale della banca ed in particolare della sottoscrizione del funzionario delegato.
Quindi detto documento è stato valutato quale semplice dichiarazione unilaterale ricognitiva dei soli clienti, inidonea a dar vita al contratto, a forma scritta obbligatoria. Neppure poteva ritenersi – secondo la Corte – che l’accordo fosse stato concluso per adesione con la semplice sottoscrizione del cliente (o in forza di successivo ordine del cliente), nonchè delle successive comunicazioni della banca ritenute prive di valenza negoziale. E ancora, nella sentenza di appello era respinta l’interpretazione del Tribunale, in forza della quale la forma scritta vale a tutelare esclusivamente la posizione degli investitori per cui, prodotto in giudizio dall’Istituto di credito il documento sottoscritto dai clienti, questi non avrebbero alcun interesse a sollevare l’eccezione di nullità del contratto per la motivazione sopra riportata.
Avverso la sentenza della Corte di Appello veniva proposto il ricorso in cassazione, assegnato alla prima sezione civile la quale, con ordinanza n. 12388 del 17 maggio 2017, ha rimesso la causa al primo Presidente, per l’assegnazione alle Sezioni Unite con riferimento alla questione di massima importanza relativa all’accertamento se il requisito della forma scritta del contratto di investimento imponga, in aggiunta alla sottoscrizione dei clienti investitori, anche la firma ad substantiam della banca.
Le Sezioni Unite hanno quindi esaminato il tema partendo dalla disamina dell’art. 23 del T.U.F. laddove, al comma 1 recita che: “I contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare consegnato ai clienti…”. Nei casi di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo”.
Ai successivi commi 2 e 3 è previsto poi che:
“1) E’ nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente…
2) Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullità può essere fatta valere solo dal cliente”.
Su questo quadro normativo si è sottolineato che, per costante giurisprudenza, laddove si parla di forma scritta a pena di nullità è evidente il riferimento ai contratti quadro e non ai singoli servizi di investimento e disinvestimento (in proposito fra le tante Cass. 9 agosto 2017 n. 19759, Cass. 28 2016 n. 16054 ecc.). Gli stessi Giudici hanno poi ricordato che la tesi della nullità del contratto quadro, qualora sia prodotto (come nel caso di specie) un modulo sottoscritto solo dall’investitore, era stata sostenuta dalla stessa Suprema Corte a Sezione Semplice con le pronunce del 2016 n. 3263, 5919, 7068, 8395, 8396.
Svolte queste precisazioni la Corte a Sezioni Unite , tuttavia, assume un diverso ragionamento, rilevando che il sopra riportato precetto normativo “in modo inequivoco prevede la redazione per iscritto del contratto relativo alla prestazione dei servizi di investimento e la consegna della scrittura al cliente, a cui solo si attribuisce la facoltà di far valere la nullità in caso di inosservanza alla forma prescritta”.
Da ciò consegue che la nullità per difetto di forma, così come è disciplinata, ha la finalità esclusiva di garantire all’investitore le piene informazioni sui servizi forniti, durata e modalità del rinnovo del contratto, modifiche dello stesso, nonché su tutti gli altri elementi che necessariamente devono essere contenuti nell’accordo quadro. Si tratta di una finalità protettiva che, ovviamente, necessita anche la dimostrazione della consegna del documento contrattuale.
Accertata la prevalenza di tale finalità protettiva, idonea a garantire l’adeguata conoscenza dell’investimento e la regolare trasparenza del mercato che credito, non pare giustificato, secondo la pronuncia in esame a Sezioni Unite, sostenere che per la validità dell’intesa sia requisito indispensabile la sottoscrizione anche del delegato della banca dell’accordo quadro, allorchè risulti in giudizio l’esistenza del documento scritto firmato dall’investitore (peraltro prodotto dalla stessa banca), la consegna del documento negoziale al medesimo, la predetta sottoscrizione dell’investitore e l’esecuzione del contratto.
In presenza di tali elementi, il consenso della banca emerge anche da comportamenti concludenti costituiti appunto dalle azioni sopra riportate.
In tale contrasto il requisito della forma scritta viene inteso non in senso strutturale, ma funzionale con riferimento proprio al soddisfacimento delle finalità di tutela sopra richiamate. Si tratta peraltro di una interpretazione in linea con le disposizioni dell’ordinamento europeo recepite anche dalla normativa italiana, disposizioni che perseguono obiettivi di trasparenza e di tutela, dando rilevanza alla registrazione dei documenti concordati, in modo che risulti agevolmente accertabile quanto le parti hanno pattuito. Su questi presupposti la Corte ha pronunciato il seguente principio di diritto “il requisito della forma scritta nel contratto quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dal decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58, art. 23, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.
Si confida che tale determinazione delle Sezioni Unite possa dare maggiore certezza nell’ambito dei rapporti tra le parti coinvolte, privilegiando aspetti sostanziali di effettiva avvenuta informazione, rispetto ad eccessivi formalismi interpretativi, anche con l’obbiettivo di contenere il contezioso su analoghe tematiche.