Causa seguita da Antonio Cazzella
Tribunale di Milano - sentenza 31 agosto 2018
Il Tribunale di Milano si è recentemente pronunciato, con sentenza pubblicata il 31 agosto 2018, in una fattispecie di appalto “endoaziendale”, consistente, nel caso esaminato, nell’appalto dei servizi di assistenza telefonica alla clientela.
Alcuni dipendenti dell’appaltatore hanno chiesto di accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo al committente: a fondamento di tali domande, i lavoratori hanno, tra l’altro, dedotto la costante “interazione” tra appaltatore e committente nell’esecuzione dei servizi appaltati, nonché l’esercizio del potere direttivo da parte di quest’ultimo nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore, dimostrato con la produzione di varie email.
In primo luogo, la sentenza in esame ha chiarito che l’interazione tra committente ed appaltatore non è sufficiente ad inficiare la legittimità dell’appalto.
A tal riguardo, il Tribunale di Milano ha affermato che “in ragione della natura di appalto endoaziendale del contratto in esame, la sussistenza di un coordinamento tra le prestazioni dell’appaltatore e quelle del committente non rappresenta, di per sé solo, un indice della natura non genuina dell’appalto”.
In particolare, il Tribunale adito ha precisato che, nel caso di appalto endoaziendale, l’espletamento del servizio deve avvenire “attraverso il rispetto delle modalità tecniche concordate tra le parti anche con riferimento al raggiungimento di determinati obiettivi di qualità del servizio e, dunque, rientra nella facoltà del committente interessarsi delle tecniche e modalità organizzative dell’appaltatore, anche attraverso l’emanazione di istruzioni”.
La sentenza ha, altresì, confermato il consolidato orientamento in materia di oneri probatori gravanti sul lavoratore, ove quest’ultimo intenda far accertare la violazione della normativa in materia di appalto e, quindi, la sussistenza di un’intermediazione vietata di manodopera.
Infatti, il Tribunale di Milano, adeguandosi ai principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 11 marzo 2014, n. 5568, Cass. 24 gennaio 2018, n. 7222), ha rilevato che spetta al lavoratore dimostrare “in base alle normali regole di prova, che l’intermediario è un imprenditore apparente” e, quindi, l’esercizio del potere direttivo, da parte del committente, nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore.
A tal riguardo, con specifico riferimento alla produzione delle email, finalizzate a dimostrare l’esercizio del suddetto potere, la sentenza ha rilevato che l’apparente rilevanza probatoria di tale produzione risulta “fortemente ridimensionata dalla considerazione che il contratto di appalto prevede la gestione di decine di migliaia di telefonate, siché le email, meno di 50 complessivamente, relative ad un arco temporale di oltre tre anni, risultano irrilevanti”.
In particolare, “quanto al contenuto delle email, premesso che la Corte di Cassazione ha precisato che “non può ritenersi sufficiente ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento la circostanza che il personale dell’appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore occorrendo verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa oppure al risultato di tali prestazioni che può formare oggetto di appalto genuino” (v. Cass. n. 15615/2011), nel caso di specie le comunicazioni sembrano dirette proprio al risultato della prestazione e non al quomodo della stessa”.
Il Tribunale di Milano ha conclusivamente rilevato che, “in ogni caso, pur a voler ritenere diversamente, i documenti sopra indicati rappresentano un riscontro documentale troppo esiguo per poter da esso ricavare il convincimento che l’adozione di direttive e disposizioni dirette nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto fosse un fatto sistematico e costante”.