di Marina Tona e Serena Previtali
Nella seduta del 22 giugno 2022 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo per l’attuazione della Direttiva Ue 1152 del 2019 relativa a condizioni di lavoro trasparente e prevedibili nell’Unione Europea.
Il decreto, in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, oltre a recepire i contenuti della direttiva UE sugli obblighi di informazione al lavoratore che sono stati già illustrati in un precedente articolo del ......, fissa, altresì, alcune “prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro” parimenti contenute nella Direttiva.
In particolare, tali prescrizioni riguardano: il periodo di prova (art. 7), il cumulo di impieghi (art. 8), la prevedibilità minima del lavoro (art. 9), la transizione verso forme di lavoro più stabili (art. 10), la formazione obbligatoria (art. 11) e tutele varie per i lavoratori.
Per quanto riguarda il periodo di prova il decreto prevede che tale periodo non potrà durare oltre sei mesi (limite, peraltro, già fissato dall’articolo 2096 cod. civ.), salvo che non sia diversamente stabilito nei contratti collettivi.
Nei rapporti di lavoro a tempo determinato la durata del periodo di prova dovrà essere proporzionata alla durata del contratto stesso ed al tipo di mansioni per le quali è avvenuta l’assunzione e, in caso di rinnovo, il periodo di prova è escluso.
Nel caso di eventi imprevisti come infortunio, malattia, congedi obbligatori, il periodo di prova è prolungato proporzionalmente al periodo di assenza del lavoratore.
L’art. 8, fatto salvo l’obbligo di fedeltà previsto dall’art. 2105 cod. civ., prevede che il datore di lavoro non può vietare al lavoratore, anche autonomo, di svolgere una diversa attività lavorativa, al di fuori della programmazione dell’attività lavorativa concordata o riservagli, per tale motivo, un trattamento meno favorevole.
Il datore potrà limitare o negare lo svolgimento di una diversa attività quando questa i) comporti un pregiudizio per la salute e la sicurezza; o ii) deve essere garantita l’integrità del servizio pubblico; ovvero iii) nel caso in cui la diversa attività, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’art. 2105 cod. civ., sia in conflitto d'interessi con l’attività principale.
L’art. 9 detta una serie di disposizioni in materia di “prevedibilità minima del lavoro” e, nello specifico, stabilisce che, nel caso in cui l’orario di lavoro non sia predeterminato o non sia predeterminata la sua collocazione temporale, il datore di lavoro non può imporre al lavoratore di svolgere l’attività lavorativa salvo che non ricorrano entrambe le seguenti condizioni:
In assenza di una delle due condizioni sopra richiamate il lavoratore può rifiutarsi di assumere l’incarico o di svolgere la prestazione senza subire alcun pregiudizio, né conseguenze disciplinari.
Il datore di lavoro che, conformemente ai criteri individuati dai contratti collettivi anche aziendali, abbia stabilito un numero di ore minime retribuite garantite deve informare il lavoratore di tale minimo garantito e delle maggiorazioni retributive spettanti per le ore lavorate in aggiunta a quelle garantite.
Inoltre, è riconosciuto al lavoratore il diritto di poter pianificare la propria attività prevedendo che lo stesso sia ristorato mediante un’adeguata compensazione del mancato guadagno derivante dalla tardiva revoca di un incarico di lavoro preventivamente concordato col datore di lavoro.
Infine, nel caso in cui il datore di lavoro revochi un incarico o una prestazione precedentemente programmata, senza un ragionevole periodo di preavviso, sarà tenuto a riconoscere al lavoratore la retribuzione inizialmente pattuita o una somma a titolo di compensazione non inferiore al 50% della somma convenuta per la prestazione annullata.
Tali disposizioni si applicano anche al committente nell’ambito dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
L’art. 10 prevede che i lavoratori in possesso di un’anzianità lavorativa di almeno sei mesi presso lo stesso datore di lavoro o committente possono richiedere per iscritto, al datore di lavoro, che vengano loro riconosciute condizioni di lavoro più prevedibili, sicure e stabili, se disponibili.
il datore di lavoro deve fornire una risposta motivata al lavoratore entro un mese.
In caso di risposta negativa una nuova domanda potrà essere presentata decorsi almeno sei mesi da quella precedente.
Il lavoratore può esercitare tale diritto anche alla cessazione del rapporto di lavoro manifestando per iscritto la propria volontà al datore di lavoro o al committente entro sei mesi dalla cessazione del rapporto. Anche in tale eventualità alla richiesta del lavoratore deve essere fornita una risposta scritta motivata entro un mese.
Il diritto di precedenza si estingue decorso un anno dalla cessazione del rapporto.
L’articolo 11 prevede, infine, che, quando i datori di lavoro siano tenuti, in base alle previsioni di legge, del contratto individuale di lavoro o della contrattazione collettiva, ad erogare ai lavoratori una formazione per lo svolgimento dell’attività per la quale sono impiegati, la formazione va considerata come orario di lavoro e, ove possibile, deve svolgersi durante l’orario di lavoro e deve essere garantita gratuitamente a tutti i lavoratori interessati.
Tale obbligo non riguarda la formazione necessaria a conservare o rinnovare una qualifica professionale, salvo che il datore non sia obbligato per legge o secondo i contratti collettivi.
Il decreto prevede, infine, per i lavoratori che lamentino la violazione dei diritti previsti in materia di informazioni sul rapporto di lavoro e di prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro, la possibilità di ricorrere ad alcuni meccanismi rapidi di risoluzione delle controversie.
In particolare, è prevista la facoltà di: a) esperire il tentativo di conciliazione presso gli uffici territoriali dell’Ispettorato Nazionale del lavoro; b) ricorrere ai collegi di conciliazione ed arbitrato di cui agli artt. 412 e 412-quater cod. proc. civ. ; c) rivolgersi alle camere arbitrali.
E’ prevista inoltre la possibilità per i lavoratori che abbiano subito comportamenti ritorsivi o con effetti sfavorevoli in conseguenza della presentazione di un reclamo o dell’avvio di un procedimento, anche non giudiziario, a tutela dei diritti previsti dal decreto, di presentare denuncia all’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
La denuncia può esser presentata dal lavoratore o dall’organizzazione sindacale delegata dal medesimo.
L’’Ispettorato Nazionale del Lavoro, effettuati i necessari accertamenti, può applicare la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 41, comma 2, del decreto legislativo n. 198 del 2006 (ammenda da 250 euro a 1500 euro). La predetta denuncia può anche essere presentata dall’organizzazione sindacale delegata dal lavoratore.
Infine, è previsto il divieto di licenziamento e di trattamenti pregiudizievoli per i lavoratori che esercitino i diritti stabiliti nel decreto con onere a carico del datore di lavoro o del committente della prova che i motivi addotti a fondamento del licenziamento o degli altri provvedimenti equivalenti adottati nei confronti del lavoratore non siano riconducili all’esercizio dei diritti previsti dal decreto.