A cura di Vittorio Provera
A partire dal 2012 ( a seguito della legge 17 dicembre 2012 n. 221 che ha convertito il D.L. 179 del 2012) si è introdotta in Italia una specifica normativa per favorire la nascita e lo sviluppo di imprese ( sotto forma di società di capitali) che si concentrato nella ricerca e realizzazione di prodotti/servizi innovativi, incentivando la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità ed occupazione, in particolare di quella giovanile ( attraverso le cd start up innovative) . In Italia, in base a recente report elaborato a livello ministeriale e con il coinvolgimento di Infocamere, risultano presenti circa 8.900 società iscritte alla Sezione speciale del Registro delle Imprese riservato alle start up innovative, con un complessivo capitale sociale di oltre 499 milioni di euro (in media 56 mila euro ad impresa). Il 70% delle stesse forniscono servizi alle imprese. La normativa in materia e, nel caso in esame, l’art. 25 del D.L 179/2012 riporta i requisiti e condizioni per poter accedere a detto registro
Si tratta dunque di un comparto non irrilevante ed in crescita, anche in considerazione delle non trascurabili agevolazioni fiscali tra cui: esenzione dell’imposta di bollo per l’iscrizione nel Registro delle Imprese, detrazioni Irpef sulle spese per l’investimento, crediti di imposta per agevolare l’assunzione di personale qualificato, possibilità di stipulare contratti a termine rinnovabili, possibilità di raccogliere fondi attraverso piattaforme online, incentivi fiscali per l’investimento nel capitale da parte di privati, ecc. Tra i diversi vantaggi vi è anche quello, introdotto dall’art. 31 comma 1 del citato D.L. n. 179/12, in base alla quale “la start up innovativa non è soggetta a procedure concorsuali diverse da quelle previste dal capo II della legge 27 gennaio 2012 n. 3. Sostanzialmente non si applica a dette imprese la legge fallimentare, essendo sottoposte alle sole procedure di composizione della crisi da sovra indebitamento.
Proprio questo aspetto è stato esaminato da una recente sentenza del Tribunale di Udine (pronuncia n. 25 del 22 maggio 2018) ad esito di una istruttoria prefallimentare, che ha coinvolto una società iscritta alla sezione speciale del Registro delle Imprese, quale start up innovativa ed oggetto di istanza di fallimento.
La resistente, nell’ambito di detto procedimento, aveva sostenuto che la formale iscrizione nel registro speciale ed il periodico aggiornamento dei requisiti secondo la disciplina di cui alla normativa (art. 25 D.L. 179/2012) avrebbero avuto natura costitutiva, precludendo quindi al Tribunale in sede prefallimentare – una volta verificata la formale iscrizione nella predetta sezione ed i successivi aggiornamenti – di procedere ad ulteriori accertamenti sulla sussistenza o meno dei requisiti richiesti per essere considerata una start up innovativa.
Il Tribunale, tuttavia, ha dato rilevanza a quanto previsto dall’art. 31, 4° comma del medesimo D.L. 179/2012 secondo cui “qualora la start up innovativa dovesse perdere uno dei requisiti prima della scadenza dei cinque anni dalla costituzione …..” non è più soggetta all’applicazione della particolare disciplina di cui sopra si è fatto cenno , quindi, potrebbe essere sottoposta a procedure concorsuali ivi compreso il fallimento. Sulla base di ciò, i Giudici friulani non si sono limitati a prendere atto di una formale iscrizione della società come start up nel citato registro (conseguente all’autocertificazione del legale rappresentante che attestava la presenza dei requisiti di legge), ma hanno disposto che la Guardia di Finanza effettuasse precisi accertamenti per verificare l’esistenza dei medesimi. In particolare, se l’attività svolta fosse prevalentemente finalizzata alla produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; se l’azienda avesse veramente svolto attività di ricerca e sviluppo, sostenendo le relative spese di ricerca nella percentuale pari o superiore al 15% del maggior valore tra costo e valore della produzione. Infine, aveva disposto accertamenti sulla titolarità ( anche quale depositaria o licenziataria ) di almeno di almeno un diritto di privativa industriale.
Le verifiche eseguite hanno appurato l’inesistenza dei requisiti richiesti dall’art. 25 del D.L. n. 179/12 che, al contrario, erano stati “autocertificati” dall’amministratore della società al fine di mantenere lo speciale status giuridico che deriva dall’iscrizione all’apposita sezione speciale del Registro delle Imprese. Per il Tribunale, la mera autocertificazione e la natura amministrativa dell’iscrizione non preclude l’accertamento - in sede prefallimentare - dell’effettiva ricorrenza e mantenimento dei requisiti di legge per mantenere lo status di start up innovativa (per inciso, è stata anche ritenuta insufficiente la mera presentazione di domanda di brevetto per invenzione industriale, a fronte della necessità di essere titolari o licenziatari di un diritto di privativa già riconosciuto).
L’Organo Giudicante ha altresì rivendicato la competenza ed il potere di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi nonché, a nostro avviso, di garantire in capo al medesimo i poteri istruttori e di accertamento d’ ufficio riconosciuti, peraltro, anche dall’art. 15 della legge fallimentare, stante la natura a tratti pubblicistica del procedimento per la dichiarazione di fallimento.
La finalità evidente espressa in sentenza, che ha concluso dichiarando il fallimento della predetta società, è stata quella di evitare che una semplice autocertificazione consenta di sottrarsi alle responsabilità correlate ad una situazione di insolvenza agevolando, quindi, facili abusi. Non intervenendo, secondo il Tribunale, si permetterebbe una sorta di “autoreferenziabilità” della natura stessa della società che, pur essendo una società commerciale, sarebbe sottratta al fallimento sulla base della mera dichiarazione del legale rappresentante, a scapito delle ragioni dei creditori.
In tale contesto, va peraltro ricordato che le start up innovative sono state considerate esenti dal fallimento in quanto, nonostante siano utili al sistema economico, registrano una elevata percentuale di cessazioni che scoraggiano gli investimenti. Proprio per tali ragioni sono state introdotte facilitazioni ed agevolazioni per gli investitori. Nello stesso tempo, tuttavia, si è avvertita da parte dei Giudici la necessità di impedire la diffusione di abusi, attraverso la conservazione di un potere di sindacato sulle predette autocertificazioni. La pronuncia è stata anche oggetto di commenti critici, poichè una eccessiva estensione del potere di valutazione ed indagine del Tribunale su quanto oggetto di iscrizione determinerebbe una notevole incertezza, stante la possibilità che venga smentita ( e posta nel nulla) l’iscrizione con tutte le relative conseguenze; fra cui una frustrazione degli obiettivi di incentivazione degli investimenti nel settore. Si è peraltro precisato, sempre in sede di critica, che - in aggiunta alle responsabilità civili e penali in capo ad un amministratore reo di false dichiarazioni - vi sarebbe uno specifico strumento per contrastare il fenomeno della start up apparente, attraverso l’applicazione della previsione di cui all’art. 2191 c.c.. In base a tale norma, qualora una iscrizione nel Registro delle Imprese sia avvenuto senza che vi siano le condizioni richieste della legge il Giudice, sentito l’interessato, può ordinarne con decreto la cancellazione. L’esito di detto procedimento, anche proposto dal Pubblico Ministero, permetterebbe poi di condurre alla dichiarazione di fallimento.
Il dibattito dunque risulta aperto, con probabili interessanti sviluppi al riguardo.