A cura di Vittorio Provera
L’utilizzo sempre più diffuso delle banche dati, con relativa elaborazione e comunicazione a terzi di informative reperite da agenzie di servizi, a fronte della consultazione dei Registri delle Imprese, pone in primo piano il tema di garantire, da una parte, l’interesse ed il diritto di terzi a conoscere atti e fatti importanti della vita delle società di capitali iscritte nei predetti Registri e, dall’altro, la tutela dei dati personali, soprattutto con riferimento alle circostanze risalenti nel tempo, è di attualità.
Il caso in esame prende spunto da un’azione civile promossa dall’amministratore di una Società, che aveva vinto un appalto per la costruzione di un complesso turistico in Italia. Realizzate le unità immobiliari, le stesse rimanevano invendute ed in proposito l’amministratore lamentava che ciò sarebbe stato determinato dal fatto che, presso il Registro delle Imprese della Camera di Commercio competente, risultava ancora annotata nel 2007 (anno dei fatti) la circostanza che lo stesso era stato amministratore e liquidatore di una precedente società, dichiarata fallita nel 1992 e poi cancellata dal registri nel 2005.
In altre parole, l’attore lamentava che pur essendo decorsi oltre quindici anni dal fallimento e due anni dalla cancellazione, la Camera di Commercio aveva omesso di rimuovere i dati riguardanti la sua pregressa posizione di amministratore e liquidatore di una precedente azienda fallita. Questo avrebbe consentito a società specializzate nella raccolta ed elaborazione di informazioni di mercato, di reperire ed utilizzare detta informativa, pregiudicando le trattative in corso per la vendita degli immobili, con lesione dell’immagine personale e commerciale dell’interessato.
Per tali ragioni veniva avviata la causa avanti il Tribunale di Lecce contro la Camera di Commercio coinvolta, con richiesta, tra l’altro, di risarcimento danni determinati dalla mancata “anonimizzazione” dei dati che lo collegavano al citato fallimento.
La tesi dell’attore veniva accolta dal Tribunale, motivando che - decorso un tempo congruo e cancellata ormai la società dal Registro delle Imprese - non vi fosse necessità di mantenere nel predetto Registro i dati personali dell’interessato, trattandosi di informazioni di dubbia utilità, stante il periodo trascorso.
Avverso la decisione del Tribunale è stato proposto ricorso avanti la Suprema Corte di Cassazione, investita quindi del quesito inerente l’esistenza o meno di un obbligo di cancellare o rendere anonimi, a richiesta di parte, i dati personali conservati – per obbligo legislativo – dalla Camera di Commercio nel Registro delle Imprese, allorché sia decorso un lasso di tempo ritenuto congruo.
I Giudici di Legittimità, dopo una disamina della questione, hanno rimesso la vertenza avanti alla Corte di Giustizia Europea, sotto due questioni principali: a) la verifica della compatibilità con la normativa europea in materia di privacy dell’impianto di pubblicità obbligatoria e di ordine pubblico previsto dalla normativa italiana, attuato con il sistema del Registro delle Imprese; laddove tale sistema prevede che chiunque, senza limiti di tempo, possa conoscere i dati relativi alle persone fisiche ivi risultanti; b) l’applicazione della prima direttiva 68/151/CEE del 9 marzo 1968 (e successive modificazioni) ed in particolare la verifica se detta direttiva lasci la possibilità per una limitazione temporale/soggettiva della disponibilità dei dati, in modo che i medesimi non siano oggetto di pubblicità illimitata, ma semmai disponibili solo per un tempo limitato o nei confronti di portatori di specifici interessi.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 9 marzo 2017 Causa 398/15, ha dato innanzitutto rilevanza al principio che la pubblicità dei dati delle società e dei loro amministratori, imposta dalla normativa e realizzata attraverso il Registro delle Imprese, ha la funzione di garantire la certezza dai diritti nelle relazioni tra società di capitali e terzi, nonché di tutelare i diritti di questi ultimi, posto che la società di capitali offrono come unica garanzia il proprio patrimonio sociale. In tale contesto, peraltro, la Corte sottolinea che, anche dopo molti anni dalla cessazione dell’attività di una società, possono sorgere questioni per le quali è necessario disporre dei dati delle persone fisiche, contenute nel Registro delle Imprese. Quanto sopra considerando sia la molteplicità di diritti e rapporti giuridici di una società, che coinvolgono una moltitudine di soggetti anche residenti in diversi Stati membri; sia la diversità nei termini di prescrizione previsti dai molteplici ordinamenti nazionali; cosicché è impossibile identificare un termine univoco, decorso il quale non sarebbe più necessaria la permanenza di determinate informative nel Registro e la relativa pubblicità delle stesse.
Sulla base di queste considerazioni gli Stati membri non sono obbligati a garantire alle persone fisiche (i cui dati sono scritti nel Registro delle Imprese) un diritto ad ottenere, trascorso un certo lasso di tempo, la cancellazione dei dati personali che li riguardano.
In altre parole, rispetto al diritto dei singoli alla cosiddetta privacy, deve prevalere la tutela dell’interesse dei terzi alla trasparenza e al buon funzionamento del mercato interno, cosicché le persone fisiche che ricoprono incarichi presso società di capitali - in quanto agiscono per il loro tramite - debbono essere consapevoli dell’obbligo di rendere pubbliche determinate informative.
Non riconosciuto, in sostanza, il “diritto all’oblio”, la Corte non esclude che in situazioni particolari, trascorso un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società, l’accesso ai dati personali contenuti nel Registro delle Imprese possa essere circoscritto a chi dimostri avere un interesse specifico alla loro consultazione.
Tuttavia, per ottenere un simile risultato, occorre una specifica disciplina normativa, che introduca nell’ordinamento giuridico una tale limitazione.
Nel caso sottoposto alla Corte, la stessa non ha ritenuto che la doglianza formulata dall’amministratore - relativa ad un pregiudizio nella vendita di immobili imputabile alla circostanza che i potenziali acquirenti avessero avuto accesso ai dati dello stesso amministratore presenti nel Registro delle Imprese - fosse sufficiente a giustificare la cancellazione di tali dati o l’inibizione dell’accesso ai medesimi.
In conclusione, l’indicazione che si ricava dalla sentenza è di riconoscimento, in via normale, della prevalenza della tutela degli interessi dei terzi alla trasparenza; tuttavia non si esclude la possibilità (attraverso specifici atti normativi) di regolamentare in modo più restrittivo l’accesso ai dati personali dell’interessato, in presenza di particolari situazioni che ogni Stato può valutare.
Da ciò si desume che la tematica deve considerarsi tutt’altro che chiusa, con spazio per possibili evoluzioni normative.