Di Vittorio Provera
La tematica delle deliberazioni di revoca di amministratori di società di capitali è sempre oggetto di notevole contenzioso giudiziario sotto diversi profili.
Da ultimo si segnala una recente pronuncia del Tribunale di Roma, Sezione Impresa del 20 marzo/4 aprile 2018 che – in sede collegiale- si ha esaminato il reclamo avverso un’ ordinanza di rigetto di istanza di sospensiva dell’efficacia di atto di revoca.
Procedendo con ordine, la vertenza trae origine da una deliberazione assembleare di revoca dalla carica di un membro del Consiglio di Amministrazione di una Banca, organizzata in forma di Società Cooperativa per Azioni. L’interessato chiedeva, in via cautelare, la sospensione dell’efficacia della deliberazione e, nel merito, l’annullamento, con conseguente reintegrazione nel Consiglio di amministrazione. Nel ricorso si lamentava un vizio procedurale consistente nella mancata indicazione – tra i punti all’ordine del giorno dell’Assemblea – del tema inerente la delibera di revoca, con violazione del diritto alla partecipazione dell’assemblea in modo pienamente informato.
Il Giudice di prime cure rigettava, con ordinanza del dicembre 2017, la domanda cautelare, ritenendo l’amministratore non legittimato all’impugnazione della delibera dell’assemblea dei soci.
Non era infatti possibile ravvisare nel caso in esame una delle ipotesi di nullità, previste dall’art. 2379 c.c. (mancata convocazione dell’assemblea, mancanza del verbale, impossibilità o illiceità dell’oggetto), la quale avrebbe legittimato all’impugnazione chiunque avesse avuto interesse.
Veniva quindi precisato che la delibera ( eventualmente assunta in violazione di legge o di statuto) avrebbe potuto essere impugnata, ai sensi dell’art. 2377 c.c., esclusivamente “dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori ( inteso come organo gestorio n.d.r.), dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale”.
L’Amministratore revocato proponeva reclamo al Collegio, rivendicando la propria legittimazione ad impugnare la deliberazione, in quanto lo avrebbe leso direttamente e personalmente.
Il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, confermava il provvedimento reclamato e negando la legittimazione all’ impugnazione ad opera dell’amministratore, all’esito peraltro di un interessante ricostruzione dell’istituto della revoca, disciplinato dall’art. 2383 c.c.
Il Collegio si è soffermato, in particolare, sulla ratio del potere di revoca previsto dal codice, attribuito in ogni tempo e senza motivazione all’assemblea dei soci.
La norma fa infatti salvo il diritto al risarcimento del danno, in caso di mancanza di giusta causa oggettiva o soggettiva, la quale tuttavia non rappresenta un elemento costitutivo di validità e/o di efficacia della deliberazione di revoca, ma la sua sussistenza consente di escludere la responsabilità risarcitoria della Società.
L’assemblea può esercitare, pertanto, il potere di revoca dell’amministratore, senza fornire alcuna motivazione sul punto e senza limiti temporali, trovando esso la propria giustificazione nel venir meno del rapporto di fiducia con la compagine societaria.
Ne consegue che l’amministratore non è titolare del diritto soggettivo al mantenimento dell’incarico, disponendo solo del diritto al risarcimento del danno in caso di revoca ante tempus, priva di una giusta causa
Nella ordinanza in commento, il Collegio ha deciso di dar continuità all’orientamento recente della giurisprudenza di merito che ammette la legittimazione dell’Organo Collegiale ( Consiglio di Amministrazione) ad impugnare la deliberazione di revoca, per meri profili formali e procedurali, in forza di un interesse all’osservanza della legittimità nelle vicende societarie in generale e nelle deliberazioni assembleari, ma non per profili sostanziali e di merito (Tribunale di Roma, 1 ottobre 2013, n. 54413). La legittimazione, in questo caso, è fondata non su un interesse personale dell’amministratore, ma sull’esigenza di tutela dell’interesse generale alla legalità societaria. Detta legittimazione, come detto, nei limiti sopra precisati, spetta al Consiglio di amministrazione e non al singolo membro, non potendosi ritenere che la delibera impugnata abbia leso un diritto del predetto, non avendo l’amministratore il diritto soggettivo alla permanenza nella sua carica. Questi, dunque, potrà contestare la deliberazione di revoca unicamente sotto il profilo della mancanza di giusta causa ed ai soli fini risarcitori e non ripristinatori.
È significativo il collegamento che viene in rilievo tra la discrezionalità del potere di revoca ad nutum dell’amministratore, spettante all’assemblea e l’insussistenza di una tutela reale, la quale postulerebbe il diritto soggettivo al mantenimento dell’incarico in capo all’amministratore.
Tale conclusione appare necessaria per non svilire la ratio dell’art. 2383, 3° comma c.c., che consente la revoca dell’amministratore, in ogni tempo, anche prima della scadenza del mandato ed anche senza giusta causa e motivazione, salva la tutela risarcitoria.
In punto, si tratta di un orientamento già confermato dalla Suprema Corte di Cassazione secondo cui il potere di impugnare deliberazioni dell'assemblea prese non in conformità della legge o dell'atto costitutivo, ai sensi dell’art. 2377 c.c., spetta ( oltre che ai soci assenti, dissenzienti o astenuti) al Consiglio di amministrazione (ove statutariamente previsto) e non agli amministratori stessi individualmente considerati, atteso che tale potere è attribuito per la tutela degli interessi sociali e dunque richiede una deliberazione dell'organo incaricato di detta tutela, il quale - nella società retta da un consiglio di amministrazione - si identifica, appunto, nel consiglio e non nei singoli componenti di esso ( fra le tante Cass. n. 259, 12 gennaio 2010).
L’orientamento della giurisprudenza è condivisibile e aderente ai principi cui si ispira il nostro ordinamento societario, che tende a privilegiare le esigenze di mantenimento di uno stabile e sereno svolgimento della vita societaria e dell’attività gestoria, con libertà di risolvere il rapporto contrattuale con gli amministratori, nell’eventualità in cui venga meno il rapporto fiduciario. Questi ultimi, dal canto loro, hanno la possibilità di salvaguardare i diritti patrimoniali e non patrimoniali attraverso un’azione risarcitoria e non una tutela reale, con ciò rispettando i principi di cui all’art. 24 Cost.