A cura di Vittorio Provera
Un recente provvedimento emanato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) il 27 giugno 2018, ha coinvolto alcuni operatori di radiotaxi attivi a Roma (organizzati in forma di società cooperativa), in seguito alla segnalazione di una Società a responsabilità limitata, che gestisce un diverso servizio di prenotazione di taxi tramite un’applicazione utilizzabile con smartphone.
Giova premettere che il servizio radiotaxi tradizionale, noto a molti, funziona attraverso una centrale operativa che: (i) riceve le richieste telefoniche, (ii) ricerca via radio e localizza, tra i taxi aderenti al servizio, quello disponibile più vicino al luogo del prelevamento dell’utente al momento della chiamata, (iii) assegnandogli quindi la corsa.
Tutti i rapporti con l’utente sono gestiti dalla centrale, la quale comunica all’utente la sigla del taxi in arrivo e finanche il tempo che il taxi impiegherà per raggiungere il luogo del prelevamento.
Si tratta di una piattaforma chiusa, posto che in ciascuna centrale di radiotaxi, per far incontrare domanda e offerta del servizio taxi sul territorio, si fa affidamento su una rete di tassisti, di dimensione stabile, vincolata da specifiche clausole statutarie; gli aderenti corrispondono un importo fisso di ammissione ed un canone mensile.
La società che ha avviato il procedimento avanti alla AGCM fornisce invece gratuitamente ai singoli tassisti servizi di raccolta e smistamento della domanda, tramite una app per smartphone e tablet.
Lo smistamento delle corse avviene attraverso la geo-localizzazione, che consente di individuare in ogni momento il tassista più vicino all’utente che cerca il taxi.
Si tratta di una piattaforma aperta, che viene gestita attraverso una app, liberamente accessibile dai tassisti affiliati, i quali possono mettere a disposizione della piattaforma una quota variabile di corse. I tassisti convenzionati pagano una commissione in percentuale sul prezzo di ogni corsa portata a termine.
Nei contratti inerenti l’applicazione del sistema e relativo esercizio non sono stabilite clausole di esclusiva, per cui i tassisti convenzionati possono utilizzare contemporaneamente qualunque altro sistema di raccolta e smistamento della domanda.
Premesso brevemente il contesto di riferimento, il procedimento avviato dalla AGCM ha avuto ad oggetto l’esame delle clausole di esclusiva adottate da società cooperative di radiotaxi che operano all’interno del Comune di Roma.
Tali clausole, volte a disciplinare i rapporti tra i gestori del servizio radiotaxi ed i tassisti aderenti, sono state ritenute dalla società segnalante non legittime in quanto idonee a impedire od ostacolare l’ingresso di nuovi operatori nel mercato della raccolta e dello smistamento della domanda di servizi di trasporto mediante taxi.
La disamina anche istruttoria condotta dall’Autorità ha evidenziato la effettiva presenza di clausole contenenti obblighi di non concorrenza, negli statuti delle cooperative e nei loro regolamenti interni. Le predette clausole prevedono un divieto di acquisto della qualità di socio per coloro che esercitano, in proprio, imprese identiche, affini o concorrenti a quelle della società cooperativa di radiotaxi. Inoltre è imposto, ai soci che si avvalgono del servizio di radiotaxi, l’utilizzo esclusivo di apparecchiature di ricetrasmissione conformi alle caratteristiche fissate dalla cooperativa, nonché del materiale pubblicitario promozionale.
La previsione di tali obblighi era stata giustificata dalle cooperative, invocando l’art. 2527 c.c., 2 comma, il quale stabilisce che “Non possono in ogni caso divenire soci quanti esercitano in proprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa”; consentendo così di escludere la partecipazione di coloro che, a causa dell’attività esercitata, possano nuocere alla realizzazione dello scopo mutualistico.
Si è sostenuta, inoltre, la liceità delle suddette previsioni, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria, qualificandole nell’ambito delle intese verticali tra piccole-medie imprese, di regola escluse dal campo di applicazione dell’art. 101 TFUE (paragrafo n. 11 degli Orientamenti sulle restrizioni verticali), non avendo in sé lo scopo di restringere la concorrenza.
Per contro. la società denunciante ha replicato, qualificando come infondato il richiamo all’art. 2527, 2 comma c.c., dal momento che il divieto di cui alla norma riguarda solo l’attività, a monte, del dispacciamento corse, ma non quella a valle di fornitura del servizio taxi.
L’attività esercitata “in proprio” dal tassista, che non può essere svolta in regime di concorrenza con quella della cooperativa, è infatti solo l’attività di trasporto. Si è sottolineata, altresì, la necessità di valutare il carattere concorrenziale dell’attività, in concreto e non in astratto, anche nell’ambito delle intese tra imprese operanti a diversi livelli della catena distributiva.
A conclusione del procedimento, l’Autorità ha ritenuto che le clausole sopra illustrate siano prive di giustificazione giuridica, oltre che economica e siano quindi qualificabili come intese verticali, aventi un effetto restrittivo della concorrenza, in quanto idonee a ostacolare o precludere l’accesso al mercato da parte dell’impresa concorrente, autrice della segnalazione.
In particolare, è stata ravvisata l’esistenza di un legame causale univoco tra le clausole di divieto di concorrenza in esame e l’effetto restrittivo di foreclosure del mercato.
In altre parole, la differenza esistente tra il tasso di chiamate inevase della società denunciante e quello dei radiotaxi derivava dagli impedimenti che la prima società doveva fronteggiare per ottenere l’adesione di tassisti, vincolati alle cooperative, a causa delle suddette clausole, risultando così privata della capacità sufficiente ad operare, in modo competitivo sul mercato rilevante.
E ancora, l’AGCM ha affermato che, sebbene le clausole statutarie e regolamentari (contenenti obblighi di non concorrenza) possano in astratto garantire la funzionalità della società cooperativa, alla luce dell’art. 2527 c.c., 2 comma c.c., è tuttavia necessario operare una valutazione di compatibilità, in concreto, con l’art. 101 TFUE, tenendo conto del contesto economico e di mercato in cui tali clausole producevano effetti.
Le clausole in esame vincolano ciascun tassista a destinare tutta la propria capacità, in termini di corse, a una singola piattaforma chiusa, privandolo, per un tempo potenzialmente indeterminato, di dedicare parte della propria capacità a una piattaforma aperta.
Con ciò si crea un consistente e duraturo effetto cumulativo di blocco nel mercato della raccolta e dello smistamento della domanda del servizio taxi a Roma, nonché un ostacolo non indifferente della concorrenza effettiva e potenziale, con conseguente danno dei tassisti e dei consumatori finali.
Le predette discipline e regole sono state considerate, inoltre, suscettibili di restringere il commercio fra gli Stati membri, ostacolando l’ingresso di una impresa, appartenente ad un gruppo con sede in uno Stato membro (la società denunciante), su mercati italiani con violazione del divieto di intese verticali restrittive della concorrenza, ai sensi dell’art. 101 TFUE.
Tuttavia - ed è questo un altro aspetto di interesse della pronuncia in esame - si è formulato un giudizio conclusivo di non gravità delle intese verticali oggetto di valutazione, in considerazione del carattere “assolutamente peculiare” delle medesime. L’Autorità ha infatti evidenziato che la portata restrittiva delle clausole di non concorrenza è emersa e divenuta evidente solo con lo sviluppo delle nuove tecnologie di geo-localizzazione, che hanno consentito l’affermazione di piattaforme aperte.
Il procedimento si è conseguentemente concluso con una delibera che impone alle cooperative coinvolte di adottare misure idonee ad eliminare le infrazioni, astenendosi dal porre in essere condotte analoghe a quelle ritenute restrittive della concorrenza, senza l’adozione di sanzioni pecuniarie ex art. 15 L. 287 del 1990.
Si tratta dunque di un interessante esempio di come la rapida evoluzione tecnologica (soprattutto nei settori della comunicazione e digitali) possa incidere sulla legittimità ed efficacia di discipline contrattuali - assunte peraltro in tempi relativamente recenti ed in ambiti diversi – ma ora già inadeguate.