A cura di Vittorio Provera
Il tema inerente l’individuazione del momento in cui un amministratore di società di capitali (nella specie di una S.r.l.) debba accertare l’esistenza di una causa di scioglimento e, conseguentemente, assumere i provvedimenti di cui agli artt. 2482 bis e ter c.c. così da evitare la propria responsabilità, è oggetto di particolare attenzione ad opera della giurisprudenza sia di merito che di legittimità. Tale interesse è determinato dalla maggior consapevolezza dei soci e creditori in ordine ai diritti loro spettanti per evitare, o quanto meno ridurre, il rischio di polverizzazione del loro investimento o dell’affidamento fatto nella società. Su tale argomento è intervenuta una recente pronuncia del Tribunale di Roma (sezione specializzata in materia di imprese, sentenza n. 2602 del 5 febbraio 2018) nell’ambito di un’azione di responsabilità art. 2476 c.c. promossa da un socio di S.r.l. nei confronti dell’ex amministratore unico (nonché socio) e del liquidatore della predetta società. In sintesi, in merito alla domanda principale, l’attore riportava che nel marzo 2010 era stato indotto a sottoscrivere il 40% del capitale sociale di una S.r.l., la quale avrebbe dovuto acquisire e gestire un’attività nel settore della ristorazione, attraverso un affitto d’azienda. Il residuo capitale sociale, nella misura del 55%, era stato sottoscritto da altro socio che poi aveva assunto la carica di amministratore unico, mentre una quota minoritaria apparteneva ad un terzo socio che, peraltro, recedeva dopo poco tempo. Dopo aver assunto la gestione dell’azienda, il socio di maggioranza e amministratore unico chiedeva agli altri soci un ulteriore finanziamento per nuovi investimenti, necessari per integrare la fase di start up riguardante la ristrutturazione degli immobili, ove sarebbe stata esercitata l’attività dell’azienda nonchè l’acquisto di attrezzature ed impianti. L’attore aveva effettuato, quindi, nel maggio 2010, un ulteriore versamento per la quota di sua competenza. Tuttavia, come accertato successivamente, l’amministratore unico aveva provveduto agli acquisti dei beni non attraverso l’utilizzo dei fondi messi a disposizione con il finanziamento soci, ma mediante l’emissione di effetti cambiari. A fine agosto, in occasione dell’assemblea dei soci, l’amministratore richiedeva un ulteriore finanziamento motivandolo, con un saldo attivo della società sufficiente solo per le spese correnti del mese di agosto. Successivamente, nel mese di settembre, il socio di minoranza accertava che vi erano a carico della società fatture non pagate, inerenti acquisto di beni ed esecuzione lavori, per importi superiori a quelli preventivati ed approvati dai soci per le opere di ristrutturazione, nonché una insufficiente liquidità anche per far fronte alle retribuzioni del personale. Richiesti i chiarimenti all’amministratore unico, questi ometteva qualsivoglia informazione asserendo, peraltro, che era impossibile recuperare i dati presenti sul sistema informatico del commercialista incaricato di tenere la contabilità e l’amministrazione dell’azienda. La totale mancanza di documenti richiesti dal socio di minoranza, imponeva a quest’ultimo di adire l’autorità giudiziaria per avere accesso ai libri sociali. Si giungeva, quindi, alla fine del mese di dicembre allorché, convocata dall’amministratore unico l’assemblea, era rappresentata per la prima volta all’attore la disastrosa situazione in cui versava la società, con ingenti perdite che avevano oramai azzerato il capitale sociale. In quella sede, l’amministratore chiedeva un ulteriore finanziamento per proseguire l’attività, ovviamente non concesso. Alla fine del gennaio 2011, stante anche gli inadempimenti verso l’affittante dell’azienda, questi otteneva il rilascio della medesima, con conseguente perdita dell’azienda nonché di tutti gli investimenti effettuati fino a quel momento. A fronte di ciò, a fine gennaio l’amministratore unico metteva in liquidazione la società nominando il commercialista quale liquidatore volontario e questi, dopo circa dieci mesi di sostanziale inerzia, rassegnava le dimissioni e presentava ricorso per la nomina di liquidatore giudiziale il quale non poteva far altro che registrare le responsabilità e omissioni della gestione precedente. Su queste basi era dunque promossa dal socio di minoranza azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore unico ed anche del liquidatore volontario.
Il Tribunale è stato quindi chiamato ad accertare, fra gli altri, la lamentata violazione dell’obbligo previsto dall’art. 2482 ter c.c., che impone - in presenza di perdita di oltre un terzo del capitale che riduce il detto capitale al di sotto del minimo stabilito per le S.r.l. (art. 2463 n. 4 c.c.) - di convocare senza indugio l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale sociale ed il contemporaneo aumento del medesimo per una cifra non inferiore al minimo (salva possibilità di trasformare la società). Al riguardo, il Tribunale ha confermato l’orientamento più rigoroso circa la portata della sopra richiamata norma, rilevando innanzitutto che le condizioni riguardanti l’erosione del capitale sociale si verificano, normalmente, non al termine dell’esercizio ma nel corso del medesimo. Quindi ha esplicitato in motivazione che: “Gli amministratori sono perciò obbligati a monitorare in modo costante la situazione patrimoniale ed economica anche durante l’esercizio, in ragione del livello di diligenza minimo a cui sono tenuti”. Naturalmente quando il patrimonio netto sta per raggiungere i minimi di legge, le regole dell’ordinaria diligenza impongono agli amministratori di effettuare i controlli più frequenti ed accurati. Sulla base di tale principio, il Tribunale ha introdotto un interessante metodo al fine di individuare il momento in cui l’Organo deputato alla gestione deve rilevare la perdita del capitale sociale. In particolare, è stata disposta una Consulenza Tecnica d’Ufficio con il compito di verificare – sulla base delle scritture contabili - il cosiddetto reddito operativo mensile della società. In tal modo, attraverso il confronto mensile tra costi e ricavi, si è ottenuto il reddito o - nel caso di specie - la perdita operativa mensile, procedendo poi al cumulo progressivo delle stesse, al fine di accertare il momento in cui l’entità delle citate perdite ha eroso il capitale sociale sotto la soglia di legge. Per il Tribunale, il descritto modus operandi ben poteva essere adottato dall’amministratore in fase di gestione ordinaria, al fine di determinare le passività operative accumulate e valutare, quindi, il momento in cui queste erano giunte ad erodere il capitale sociale sotto la soglia di legge, con il conseguente citato l’obbligo di convocare i soci per le deliberazioni previste dall’art 2482 ter c.c.. Agendo in tal modo si sarebbe evitata una ulteriore illegittima prosecuzione dell’attività di gestione (allorché il capitale di rischio era ormai venuto meno), così da mettere in evidenza subito la crisi ed impedendo che l’azienda restasse sul mercato, con pregiudizio per i terzi soggetti a contatto con la medesima. Attraverso le risultanze della consulenza ed operando con il metodo sopra illustrato, si è accertato che già a maggio del 2010 la perdita operativa aveva eroso il capitale, portandolo sotto il limite del terzo e che, a giugno dello stesso anno, il capitale era sceso sotto il minimo legale se non addirittura azzerato. Da quel momento (e comunque entro la metà del luglio 2010) l’amministratore avrebbe dovuto convocare senza indugio l’assemblea. Al contrario, l’aver continuato per altri 6 mesi una attività caratterizzata dall’eccedenza di costi sui ricavi, ha integrato una situazione di complessiva “mala gestio tout court”. Il danno riconducibile a detto comportamento è quantificabile, secondo il Tribunale, in base alle perdite legate alla prosecuzione della cd. gestione caratteristica, determinata sulla base del raffronto dei corrispettivi incassati con i maggiori costi/oneri cumulati nel periodo luglio/dicembre 2010, con riduzione del patrimonio netto della società. Conseguentemente è stata accolta la domanda principale dell’attore in merito alla responsabilità dell’amministratore, correlata alla violazione delle norme richiamate, con relativa condanna risarcitoria in favore ella Società.
La pronuncia in esame che, per alcuni aspetti, è coerente con l’orientamento più recente, sia di merito che di cassazione (da ultimo si veda Cass. 20 aprile 2017 n. 9983) introduce tuttavia interessanti indicazioni concernenti sia il momento e metodo attraverso cui gli amministratori devono riscontrare le cd perdite rilevanti (operando un monitoraggio costante e valutando il cd reddito operativo mensile, da verificare mese per mese), sia le modalità di calcolo del danno alla società (utilizzando il criterio della differenza dei patrimoni netti contemperato).