A cura di Stefano Beretta e Antonio Cazzella
Con ordinanza n. 15094 dell’11 giugno 2018 la Suprema Corte ha esaminato la fattispecie di un licenziamento intimato a seguito di un’indagine investigativa, da cui era emerso che il dipendente non aveva eseguito i compiti di verifica e di controllo dei cantieri a lui assegnati, presentando della documentazione falsa in cui si attestavano ispezioni mai eseguite. I giudici di primo e di secondo grado hanno ritenuto legittimo il licenziamento, evidenziando che le relazioni investigative erano utilizzabili, in quanto la prestazione sottoposta a controlli si era svolta fuori dall'azienda.
La Suprema Corte ha riformato la decisione della Corte di merito, affermando che il datore di lavoro può controllare, anche con guardie giurate, il patrimonio aziendale, ma non può affidare ad agenzie esterne il controllo dell'adempimento (o dell'inadempimento) dell’obbligazione contrattuale del lavoratore; in particolare, il controllo di tali agenzie non può “sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata, dall'art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro o ai suoi collaboratori, per cui resta giustificato l’intervento in questione solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione”.
Pertanto, il divieto di controllo occulto sull’attività del lavoratore vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, salva l’ipotesi in cui tale controllo sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti, come, ad esempio, l’esercizio di attività lavorativa retribuita in favore di terzi durante l’orario di lavoro, ovvero nel caso di attività extralavorativa in violazione del divieto di concorrenza, nonché al fine di verificare l’eventuale utilizzo improprio dei permessi ex art. 33 della legge n. 104/1992.