(Tribunale di Cassino, sentenza 19 giugno 2019)
Il diritto del lavoratore al risarcimento del preteso “danno differenziale” da malattia professionale è soggetto a prescrizione decennale. Esso, infatti, ha fonte nel lamentato inadempimento di una obbligazione contrattuale gravante sul datore di lavoro: quella ex art. 2087 cod. civ. alla tutela della salute e sicurezza del lavoratore sul posto di lavoro. Dovendosi, quindi, escludere la natura aquiliana dell’illecito, nemmeno è invocabile il termine breve di prescrizione quinquennale.
Il termine (decennale) di prescrizione matura in costanza di rapporto. Il dies a quo deve essere individuato in base al principio generale ex art. 2935 cod. civ. secondo cui il termine di prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
La sentenza in commento ha ritenuto che il dies a quo non fosse quello di insorgenza/diagnosi della patologia professionale - come normalmente affermato dalla giurisprudenza - bensì quello, nel caso di specie di pochi anni successivo, in cui il lavoratore, proprio in ragione della patologia professionale riscontrata, è stato assegnato dall’azienda a mansioni sicuramente compatibili con tale patologia e inidonee a provocarne un aggravamento: aggravamento che, infatti, si è verificato - rispetto allo stato iniziale della malattia - solamente molto tempo dopo, a distanza di anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.
In altre parole, la sentenza ha ritenuto che, una volta insorta la patologia professionale, il datore di lavoro avrebbe potuto essere responsabile della stessa sino a che ha conservato le mansioni espletate dal lavoratore, le quali ipoteticamente costituirebbero una concausa dell’insorgenza della patologia. Allorché il datore di lavoro, in adempimento del proprio obbligo ex art. 2087 cod. civ., ha modificato le mansioni del lavoratore, assegnandogli attività differenti che - in base all’istruttoria svolta - erano compatibili con il suo stato di salute, è sicuramente cessato il preteso comportamento illecito. Da questo momento in poi, il lavoratore avrebbe potuto agire per chiedere il risarcimento del danno differenziale, basandosi sulla ipotetica responsabilità del datore di lavoro con riferimento all’assegnazione delle mansioni che egli espletata allorché la patologia è stata diagnosticata. Ed essendo decorsi più di 10 anni da tale momento, il Tribunale ha ritenuto ormai prescritta l’azione e il relativo diritto.
Replicando alle argomentazioni difensive del lavoratore, il Tribunale ha anche precisato che, nel diritto del lavoro: