di Antonio Cazzella
Con sentenza n. 21888 del 9 ottobre 2020 la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sulla legittimità dei controlli “occulti” svolti dal datore di lavoro, che – nella fattispecie esaminata – riguardano il caso di un lavoratore licenziato per giusta causa in considerazione della scarsa diligenza con la quale aveva reso la prestazione (un “pervicace ritardo nell’esecuzione della prestazione”) nonchè per una perdurante inosservanza degli obblighi e dei doveri di servizio nello svolgimento delle mansioni assegnate (nel caso esaminato, si trattava di un lavoratore con mansioni di portalettere).
Il controllo “occulto” era stato attuato mediante l’organizzazione gerarchica del datore di lavoro e, più precisamente, dal superiore gerarchico del lavoratore e da un componente dell’Ufficio Ispettivo.
Il lavoratore, soccombente nei precedenti gradi di giudizio, ha censurato la decisione della Corte di merito, deducendo la violazione degli artt. 3 e 4 della legge n. 300/1970 (c.d. “Statuto dei Lavoratori”), che – come noto – sono norme finalizzate a tutelare la libertà e la dignità del lavoratore, in quanto pongono delle limitazioni al potere di controllo del datore di lavoro.
Il dipendente ha eccepito, in particolare, che il controllo svolto dal datore di lavoro non poteva riguardare l’adempimento o l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale e che tale controllo, per potersi ritenere legittimo, avrebbe dovuto limitarsi agli atti illeciti (non riconducibili, quindi, al mero inadempimento dell’obbligazione) ed essere, comunque, sottoposto alla duplice condizione che, da un lato, fossero resi noti i nomi dei soggetti deputati al controllo e, dall’altro, che tale controllo non avvenisse “a distanza”.
La Suprema Corte, nel rigettare il gravame, ha rilevato che la fattispecie in esame è regolata dall’art. 3 della legge n. 300/1970, che afferma: “I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati”.
In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato che la decisione della Corte di merito è conforme ai principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass. 11 giugno 2018, n. 15094) in ordine alla portata dell’art. 3 sopra richiamato, che non preclude “il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come una agenzia investigativa) diversi dalle guardie giurate per la tutela del patrimonio aziendale”, né – tantomeno – preclude al datore la possibilità di “controllare direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti, l’adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti e, quindi, di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi, già commesse o in corso di esecuzione”.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha precisato che il corretto esercizio del potere di controllo, da parte del datore di lavoro, prescinde dalle modalità con le quali viene attuato, attesa “la particolare posizione di colui che lo effettua” e, pertanto, può avvenire anche occultamente, senza che ciò comporti la violazione del principio di correttezza e di buona fede nell’esecuzione dei rapporti di lavoro “soprattutto quando siffatta modalità trovi giustificazione nella pregressa condotta non palesemente inadempiente dei dipendenti”.
Da ultimo, la Suprema Corte ha evidenziato che, nella fattispecie esaminata, risulta inconferente la dedotta violazione dell’art. 4 della legge n. 300/1970, che riguarda, esclusivamente, l’utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza, essendo pacifico che il controllo era stato svolto da personale dipendente dal datore di lavoro.