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I piani di incentivazione basati sull’incremento di valore dell’azienda non sono assimilabili all’assegnazione di azioni gratuite ai dipendenti.

Scritto da Admin | 29 novembre 2017

I piani di incentivazione basati sull’incremento di valore dell’azienda non sono assimilabili all’assegnazione di azioni gratuite ai dipendenti, o alle stock option e, quindi, quanto versato ai lavoratori deve considerarsi retribuzione, soggetta a contribuzione previdenziale ed assicurativa.

(Tribunale di Milano Sentenza 10 ottobre 2017)

Causa seguita da Annamaria Corna e Beatrice Ghiani

Una società per azioni (non quotata), essendo in forte sviluppo ed operando in un settore particolarmente competitivo, ha deciso di introdurre un piano di LTI  (Long Term Incentive) per  i dirigenti di vertice, volto alla loro fidelizzazione. Tale piano, sulla base di un meccanismo abbastanza sofisticato, prevedeva,  a fronte del raggiungimento di obiettivi e  di un valore minimo atteso di Equity  Value del Gruppo, il pagamento, al termine di un triennio, di un importo parametrato alla variazione di  valore acquisito dalla  società. Tale meccanismo, seppur molto simile a quello della valutazione delle stock option, escludeva espressamente l’assegnazione di azioni gratuite ai dipendenti, stabilendo, invece, il pagamento, in busta paga, dell’importo così determinato.

L’INPS, nell’ambito di una verifica presso la sede  della società, ha contestato l’operato dell’azienda, che aveva assoggettato a contribuzione i predetti importi, ritenendo che la fattispecie era assimilabile all’assegnazione gratuita di azioni o di stock option, per cui l’art. 27, lett. g-bis) del D.P.R. n. 797/1955 e ss.mm.ii. prevede l’esenzione contributiva, ed ha, quindi,  prescritto la compensazione dei contributi versati con i futuri dovuti all’Istituto.

La società, dopo aver esperito inutilmente il ricorso gerarchico, ha deciso di adire il Giudice, al fine di far accertare la legittimità del proprio operato. L’INPS si è costituito in giudizio adducendo, tra l’altro,  una pretesa carenza  di interesse ad agire dalla società, affermando che, al più, un interesse sarebbe stato in capo ai dipendenti che avevano fruito dei contributi.

Il Tribunale di Milano  ha integralmente accolto le argomentazioni della società, rilevando che l’interesse ad agire conseguiva dal semplice fatto che era stato contestato  il versamento contributivo effettuato dalla società. E’, inoltre stato sottolineando,  da un lato,  che  l’esenzione contributiva è esclusivamente connessa all’assegnazione di titoli azionari, poiché in tal caso il lavoratore partecipa  al rischio di impresa,  e, dall’altro, che   in base  alle stesse circolari  dell’INPS (V. circolari nn. 123/2009 e 162/2010 e messaggio n del 12/10/2010) per l’esenzione contributiva è necessario che il piano azionario non sia generalizzato, sia subordinato al verificarsi di precise condizioni e comporti l’effettiva assegnazione di azioni, per cui difettando, nel caso di specie, tale ultimo requisito, l’importo versato ai dirigenti doveva considerarsi normale retribuzione e, quindi, soggetta a contribuzione.