A cura di Enrico Vella
Rispetto costante di un orario di lavoro coincidente con l'apertura al pubblico dell'attività commerciale e corresponsione di un compenso mensile a cadenze fisse e regolari sono le due condizioni che, ove dimostrate, consentono di qualificare come subordinata la prestazione resa dalla "Sorella" nell'attività di titolarità del "Fratello".
Questo il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte con l'ordinanza del 27 febbraio 2018 n. 4535.
In primo grado, la Sorella si era rivolta al Tribunale di Torino per rivendicare nei confronti del proprio Fratello, titolare di una ditta individuale esercente il commercio di fiori e piante, la natura subordinata del rapporto intercorso e il pagamento delle correlate differenze retributive.
Il giudice di prime cure, riconosciuta la sussistenza del vincolo, accoglieva integralmente le domande della ricorrente. La sentenza veniva confermata in appello.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul rispetto delle regole inerenti l'onere della prova, evidenziava la sussistenza di chiari elementi che consentivano di ricondurre il rapporto di lavoro nell'ambito del lavoro subordinato.
Nel corso dell'istruttoria, infatti, erano emersi la presenza costante in negozio della Sorella, l'osservanza di un orario coincidente con l'apertura al pubblico dell'attività commerciale e la corresponsione, a cadenze fisse, di un compenso.
Tali elementi facevano ritenere che la collaborazione resa dalla Sorella avesse comportato un apporto stabilmente inserito nell'organizzazione dell'attività commerciale stessa e non una mera partecipazione all'attività, dettata da motivi di assistenza familiare.
Il compenso fisso si qualificava come corrispettivo della prestazione e non come un contributo economico a copertura di contingenti e, dunque, variabili esigenze di vita.
Con la sentenza in commento, la Corte sembra confermare il noto principio per cui il vincolo di subordinazione, ove sussistente e provato, prevale sulla mera collaborazione nell'ambito dell'impresa familiare, che sottrae il rapporto alla disciplina di cui all'art 230bis c.c.
Proprio con questa norma, lo ricordiamo, il Legislatore esclude la subordinazione nell’ambito del lavoro familiare quando le parti abbiano dato, espressamente o tacitamente, una diversa configurazione al loro rapporto o, più in generale, quando si vuole attribuire rilevanza giuridica a prestazioni di lavoro svolte nell'ambito familiare non inquadrabili in fattispecie tipiche.