Se una Banca segnala una posizione in sofferenza alla Centrale Rischi non commette un illecito, anche se successivamente viene accertata l’inesistenza del debito e anche se in un momento successivo vengono aggiornate le disposizioni regolamentari in materia. Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza: vediamone i dettagli.
La vicenda descritta dalla sentenza n. 4747/2019, depositata in data 9 febbraio 2019, ha come protagonista la correntista di una Banca che, essendo stata segnalata dall’istituto alla Centrale Rischi nel mese di aprile 1999, aveva successivamente citato in giudizio l’istituto stesso. Un accertamento concluso nei suoi confronti nel 2012 aveva provato l’inesistenza del debito indicato in sofferenza e nel frattempo erano intervenute alcune modifiche dei regolamenti riguardanti le istruzioni per gli intermediari creditizi sulla Centrale dei Rischi: per questo, la donna sosteneva che la Banca dovesse rispondere della propria condotta e risarcire i danni a suo carico, che avrebbero dovuto essere quantificati in via equitativa (vale a dire dal giudice secondo equità, senza applicare norme di diritto specifiche).
Le decisioni di merito non avevano accolto le richieste della correntista, giudicando come corretta la condotta dell’istituto di credito: era stato infatti accertato che la Banca aveva segnalato la propria cliente non con intento punitivo, ma semplicemente adempiendo ai propri obblighi di comunicazione alla Banca d’Italia di qualsiasi voce di rischio. Rischio che, appunto, si era venuto oggettivamente a creare a causa di un contenzioso con la cliente.
Per quello che riguarda il profilo risarcitorio, il Tribunale di merito aveva riscontrato che non esisteva alcuna prova di un preteso danno non patrimoniale, anche perché la segnalazione alla Centrale rischi era cessata sin dal 2012, dopo la conclusione dell’accertamento nei confronti della correntista. La quale, peraltro, non aveva mai lamentato alcunché su questo procedimento.
A questo punto la correntista si era rivolta alla Corte di Cassazione, sostenendo che la condotta della Banca avrebbe dovuto essere valutata anche alla luce delle nuove disposizioni che erano intervenute a modificare la circolare n. 139 del 1991 della Banca d’Italia, inerente le “Istruzioni per gli intermediari creditizi sulla Centrale dei Rischi”. Il testo in questione, infatti, era stato aggiornato a più riprese negli anni successivi alla vicenda in esame.
La Corte Suprema, chiamata ad esprimersi sulla vicenda, ha prima di tutto rilevato alcuni profili di inammissibilità, e poi confermato le sentenze di merito. In particolare, la Cassazione ha chiarito che la condotta dell’istituto di credito deve essere valutata ex ante, cioè a priori e in astratto, sulla base di un giudizio prognostico (attendibile e non pretestuoso) sul rapporto di credito tra la Banca e la cliente all’epoca dei fatti, e non basandosi su ciò che poi è realmente accaduto. Allo stesso modo, le direttive da tenere in considerazione sono quelle vigenti all’epoca, e non le successive evoluzioni regolamentari in materia di segnalazioni alla Centrale dei rischi.
In effetti, il credito che la Banca aveva evidenziato nel 1999 riguardo alla posizione della correntista risultava esistente e non di facile realizzazione, anche perché la cliente risultava avere debiti verso terzi: per questo, la segnalazione alla Centrale Rischi è stata ritenuta assolutamente lecita e la condotta della Banca non censurabile.
Da qui il principio generale: la segnalazione di una posizione in sofferenza alla Centrale Rischi a opera della Banca non costituisce illecito anche se successivamente viene accertata l’inesistenza del debito e anche se anche se le disposizioni regolamentari in materia vengono nel frattempo aggiornate.