A cura di Stefano Beretta e Antonio Cazzella
Con sentenza n. 22288 del 25 settembre 2017, la Suprema Corte si è pronunciata sulla risarcibilità del danno esistenziale nel caso di demansionamento, che - nella fattispecie esaminata - era stato riconosciuto al lavoratore a seguito di una dequalificazione durata due anni. Il datore di lavoro ha censurato la decisione della Corte di merito in quanto, come affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità, il demansionamento non comporta automaticamente il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale e, nel caso di specie, non era stata dimostrata dal dipendente un’alterazione degli assetti relazionali e delle abitudini di vita.
La Suprema Corte ha ricordato che la prova del danno non patrimoniale può essere fornita anche mediante presunzioni semplici e che il danno esistenziale deve essere risarcito quando sia conseguenza di una lesione di diritti costituzionalmente garantiti: nel caso esaminato, la Corte di merito aveva rilevato, all’esito dell’istruttoria, la sussistenza degli indici presuntivi di un danno non patrimoniale di tipo c.d. esistenziale, consistente nella lesione della dignità personale e del prestigio professionale.