Di Vittorio Provera
È nulla, per frode alla legge, la clausola prevista nell’ambito di un contratto di agenzia che imponga la corresponsione di una penale di rilevante entità in caso di violazione dell’obbligo di mantenere in essere il rapporto per un periodo stabilito, pregiudicando in misura significativa la facoltà di recedere di una delle parti. Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24478 del 10 /09/21. La vicenda origina da una causa tra una anca ed un promotore finanziario , che aveva risolto il mandato sostenendo un’ asserita inadempienza della preponente. In primo grado - accertata l’inesistenza della giusta causa di recesso - l’agente era condannando al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. Tuttavia era stata respinta la domanda dell’Istituto di Credito che aveva richiesto il pagamento di una penale per violazione dell’obbligo contrattuale di mantenere in essere il rapporto per un periodo determinato, anche a fronte dell’applicazione di un trattamento economico più favorevole ( con contributi mensili), rispetto al riconoscimento delle normali tabelle provvigionali. Impugnata la decisione sul punto, è stato respinto l’appello, cosicchè era proposto ricorso avanti la Corte di Cassazione. Tra i motivi di censura si era argomentato che la pattuizione della penale doveva considerarsi come liquidazione anticipata del danno derivante alla preponente per aver effettuato un notevole investimento in un rapporto di collaborazione, sul presupposto di avere un affidamento per una certa stabilità. Inoltre, si era dimostrato che la complessiva pattuizione negoziale aveva consentito al collaboratore di incamerare emolumenti aggiuntivi, a fronte di una garanzia di una certa stabilità nel rapporto. Dette argomentazioni sono state disattese dalla Corte la quale, attraverso un richiamo alla previsione dell’art. 1750 IV. co. C.C., ha ritenuto che detta norma costituisca un precetto che vieta pattuizioni che alterino la parità delle parti in materia del recesso, con la conseguenza di reputare nullo per frode alla legge (ai sensi dell’art. 1344 cod. civ.) il patto che contempli ( in aggiunta all’obbligo di pagare l’indennità di mancato preavviso) una clausola penale che, in quanto onerosa, inciderebbe in misura significativa sulla normale facoltà di recedere di una delle parti, eludendo il principio della parità in materia . Siffatta motivazione, tuttavia, pone sullo stesso piano la fattispecie del recesso (regolata dall’art. 1750 c.c.) con la diversa previsione contrattuale relativa al patto di stabilità e previsione, in caso di violazione, di una penale. Tale distinzione è stata più volte ribadita dalla Suprema Corte ( fra le altre Cassaz. 09/09/2017 n. 14457. A ciò si aggiunga che non risulta valorizzato l’ ulteriore elemento costituito dal corrispettivo economico di fatto correlato al citato impegno, che – al contrario- è stato tenuto in considerazione in diverse pronunce di merito e di legittimità, tra cui la sentenza della Suprema Corte 29/09/2015 n. 19300 , ove, in caso analogo, dopo aver escluso la natura vessatoria della clausola di stabilità sottoscritta da un promotore finanziario, si è affermato che: “Neppure, tantomeno, ricorre un’ipotesi di nullità per difetto di causa, pienamente integrata dalla corrispettività delle prestazioni rese dall’agente in correlata ragione del trattamento economico convenuto”. Si presenta, dunque, un contrasto giurisprudenziale che non agevola le scelte degli operatori economici.