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Aumenti contrattuali ed assorbibilità del superminimo

Scritto da Antonio Cazzella | 3 maggio 2021

Di Antonio Cazzella

Nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato le parti possono pattuire la corresponsione, in favore del dipendente, di un emolumento aggiuntivo alla retribuzione minima prevista dal contratto collettivo, comunemente denominato “superminimo”.

La giurisprudenza - che si è spesso pronunciata sull’assorbibilità del superminimo nel caso di aumenti retributivi derivanti, ad esempio, dal riconoscimento (anche giudiziale) di un superiore inquadramento, ovvero nel caso di aumenti retributivi previsti dal contratto collettivo – considera il superminimo un’”eccedenza” che può essere assorbita da successivi incrementi retributivi, salvo che tale attribuzione sia stata pattuita “intuitu personae”, ovvero quando la volontà (tacita o espressa) delle parti sia stata quella di escluderne l’assorbimento.

L’onere di dimostrare la sussistenza del “titolo” che autorizza il mantenimento del superminimo spetta comunque al lavoratore (ex plurimis, Cass. 17 ottobre 2018, n. 26017).

Per accertare il diritto del lavoratore al mantenimento del superminimo è necessario analizzare la genesi dell’accordo (in quanto, ad esempio, le parti potrebbero aver attribuito al superminimo la natura di “compenso speciale” strettamente collegato a particolari meriti, ovvero alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente) nonché il comportamento successivo delle parti, fermo restando, altresì, che una deroga all’assorbimento del superminimo potrebbe essere disposta anche dalla contrattazione collettiva (Cass. 5 giugno 2020, n. 10779).

La giurisprudenza di merito ha evidenziato, tra l’altro, che la pregressa esperienza maturata dal lavoratore presso un precedente datore di lavoro e la sua qualifica non possono considerarsi elementi idonei a provare che il superminimo abbia natura di eccedenza “intuitu personae” (Tribunale Milano, 20 febbraio 2018).

Con la recente sentenza n. 10164 del 16 aprile 2021 la Corte di Cassazione ha esaminato una fattispecie in cui l’aumento retributivo previsto dal contratto collettivo, pur essendo unico, doveva essere corrisposto in tranches aventi scadenze diverse: in occasione della prima scadenza, il datore di lavoro non aveva assorbito il superminimo per l’importo corrispondente alla prima tranche e, quindi, la Corte di merito, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto che tale comportamento fosse sufficiente ad escludere la volontà di procedere all’assorbimento anche delle tranches successive.

Nell’esaminare il gravame proposto dal datore di lavoro, la Suprema Corte – dopo aver preliminarmente rilevato l’inesistenza di un principio giuridico che preveda una “presunzione” di assorbimento del superminimo nel caso di miglioramenti contrattuali - ha condiviso la decisione della Corte di merito, secondo cui, essendo l’aumento retributivo unico (anche se suddiviso in più tranches) è configurabile una rinuncia del datore di lavoro all’assorbimento del superminimo nel caso in cui la prima tranche venga corrisposta al dipendente senza operare alcuna riduzione.

I giudici di merito (e, conseguentemente, la Corte di Cassazione) hanno omesso, probabilmente anche per mancanza di adeguate allegazioni, di valutare la ragione per cui il datore di lavoro non aveva assorbito il superminimo al momento di corrispondere la prima tranche dell’aumento retributivo e tale omissione non consente, in verità, di valutare adeguatamente il comportamento (concludente) addebitato al datore di lavoro, ovvero la volontà di non assorbire il superminimo; tanto premesso, alla luce di quanto stabilito nella sentenza in esame, è comunque necessario prestare la dovuta attenzione, anche sotto un profilo puramente amministrativo-gestionale, alle modalità con le quali viene applicato un aumento contrattuale quando il lavoratore fruisce di un superminimo ed è previsto che l’aumento venga suddiviso in varie tranches.