a cura di Teresa Cofano
La clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche in caso di recesso del venditore può presumersi vessatoria quando il compenso non trovi giustificazione nella prestazione svolta dal mediatore, essendo compito del giudice di merito valutare se una qualche attività sia stata posta in essere dal medesimo attraverso condotte propedeutiche e necessarie per la ricerca di soggetti interessati all’acquisto del bene. Si presume vessatoria la clausola che consenta al professionista di trattenere una somma di denaro versata al consumatore, se quest’ultimo non conclude il contratto o recede dallo stesso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal primo il doppio della somma corrisposta ove sia egli a non concludere il contratto oppure a recedere.
(Sez. Unite, sentenza n. 19565 del 8 settembre 2020).
Per effetto della nuova formulazione dell'articolo 138 del Codice delle assicurazioni private ha trovato definitiva conferma normativa, il principio giurisprudenziale della autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, atteso che il sintagma danno morale, da un lato, non è suscettibile di accertamento medico-legale, dall'altro, si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato. A tanto consegue che, nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, il giudice di merito dovrà: 1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale; 2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di quest'ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano (che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono all'indicazione di un valore monetario complessivo, costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno); 3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale, 4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente morale del danno automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui all'articolo 138, punto 3, del novellato Codice delle assicurazioni.
(Cass. sentenza n. 25614 12 del novembre 2020).
L'azione di rivalsa, da parte della compagnia di assicurazione, può essere esercitata a prescindere da un giudizio azionato dal danneggiato.
(Cass. sent. n. 25087 del 9 novembre 2020).
Nell'assicurazione per la responsabilità civile, la costituzione e difesa dell'assicurato, giustificata dall'instaurazione del giudizio da parte di chi assume di aver subito un danno, è svolta anche nell'interesse dell'assicuratore, ritualmente chiamato in causa, in quanto finalizzata all'obbiettivo ed imparziale accertamento dell'esistenza dell'obbligo di indennizzo. Pertanto, anche nel caso in cui nessun danno venga riconosciuto al terzo che ha promosso l'azione, l'assicuratore è tenuto a sopportare le spese di lite dell'assicurato, nei limiti stabiliti dall'art. 1917, comma 3, c.c.
(Cass. sentenza n. 24409 del 3 novembre 2020).
In tema di contratto di locazione, ai fini dell'emissione della richiesta pronunzia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità del conduttore il giudice deve valutare la gravità dell'inadempimento di quest'ultimo anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda, giacché in tal caso, come in tutti quelli di contratto di durata in cui la parte che abbia domandato la risoluzione non è posta in condizione di sospendere a sua volta l'adempimento della propria obbligazione, non è neppure ipotizzabile, diversamente dalle ipotesi ricadenti nell'ambito di applicazione della regola generale posta dall' art. 1453 c.c. (secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento comporta la cristallizzazione, fino alla pronunzia giudiziale definitiva, delle posizioni delle parti contraenti, nel senso che, come è vietato al convenuto di eseguire la sua prestazione, così non è consentito all'attore di pretenderla), il venir meno dell'interesse del locatore all'adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua nel godimento della cosa locata consegnatagli dal locatore ed è tenuto, ai sensi dell'art. 1591 c.c., a dare al locatore il corrispettivo convenuto (salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno) fino alla riconsegna.
(Cassazione civile , sentenza n. 27955 del 07 dicembre 2020).
La remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco; un comportamento tacito, pertanto, può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito solo quando non possa avere alcun'altra giustificazione razionale, se non quella di rimettere al debitore la sua obbligazione. Ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnati da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l'omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere, se non la volontà della società di rinunciare a quel credito.
(Cassazione civile, sentenza n. 28439 del 14 dicembre 2020).
La revocatoria è legalmente giustificata non solo da una diminuzione del patrimonio del debitore ma anche da atti di disposizioni che rendono meno agevole e più difficile la soddisfazione del creditore in caso di inadempimento.
(Cassazione civile sentenza n. 276245 del 3 dicembre 2020).
Il criterio della prevalenza della clausola di proroga della giurisdizione, in base al quale la priorità decisionale è affidata al giudice prescelto nell'accordo di scelta esclusiva del foro (cui spetta di decidere sulla validità dell'accodo e sulla sua portata nella controversia dinanzi ad esso pendente), in funzione derogatoria del criterio della prevenzione, previsto dall'art. 31, comma 2, del Regolamento UE n. 1215 del 2012, non opera (per le ragioni esposte nel considerando 22 del medesimo Regolamento) quando il rapporto giuridico tra le parti sia disciplinato da molteplici regolamentazioni contrattuali, contenenti più clausole di proroga tra loro confliggenti o interferenti nella scelta del giudice nazionale, e quando l'autorità giurisdizionale prescelta sia stata adita per prima, nel qual caso torna prioritario il criterio della attribuzione della decisione sulla giurisdizione all'autorità preventivamente adita;
in tali casi il giudice preventivamente adito ha il potere di decidere sulla giurisdizione facendo applicazione dei criteri ordinari di radicamento della competenza giurisdizionale nell'ambito del giudizio dinanzi ad esso pendente in Italia, nel quale è proponibile il regolamento preventivo di giurisdizione.
(Cass. Sez. Unite, sentenza n. 28384 del 14 dicembre 2020).
La responsabilità indiretta della compagnia assicuratrice per il fatto illecito del sub-agente, fondata, ai sensi dell'art. 2049 c.c., sul nesso di occasionalità necessaria tra le incombenze di quest'ultimo e il danno subìto dal cliente, postula che il fatto dannoso sia stato agevolato o reso possibile dall'inserimento del sub-agente nell'organizzazione dell'impresa e sussiste, pertanto, nonostante la tendenziale autonomia della posizione del sub-agente rispetto all'assicuratore, nell'ipotesi in cui quest'ultimo, quale primo preponente, abbia conferito al sub-agente un autonomo e diretto potere rappresentativo, oppure mantenga comunque un controllo diretto anche sul suo operato o, ancora, si avvalga di un'organizzazione imprenditoriale articolata in un reticolo di agenzie che operano di regola a mezzo di sub-agenti abilitati a vendere i suoi prodotti assicurativi, nonché nell'ipotesi in cui ricorra la prova di un'apparenza di rapporto diretto del sub-agente con la compagnia per ottenere prodotti assicurativi in nome e per conto di essa. Detta prova incombe all’assicurato che invoca la responsabilità ex art. 2049 e non può essere sopperita né da una condotta processuale
Esplicitamente ammissiva da parte dell’autore dell’illecito, né da un comportamento qualificabile come ficta confessio (cfr. Cass. 14/12/2018 n. 32514; 27/10/2016 n. 21737; 27/6/2016 n. 13212).
Inoltre, la società preponente non risponde solidalmente del danno causato dal suo agente qualora il nesso di occasionalità necessaria tra il danno e l'esecuzione delle incombenze affidate a questi ultimi sia interrotto dalla condotta del danneggiato, il quale, inosservante ai canoni di prudenza e agli oneri di cooperazione nel compimento dell'attività di investimento, serbi un contegno anomalo, contrassegnato da collusione o quanto meno da consapevole acquiescenza alla violazione delle regole ordinarie sul rapporto professionale con il cliente e sulle modalità di affidamento dei capitali da investire.
(Tribunale di Brescia, sentenza 26 novembre 2020, causa seguita da Bonaventura Minutolo).