A cura di Damiana Lesce e Valeria De Lucia
Il decreto legge n. 25 del 2017, entrato in vigore il 17 marzo 2017, ha modificato il regime di responsabilità solidale negli appalti.
Il nuovo testo dell’art. 29, comma 2, d.lgs. 276/2003 prevede oggi: “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d'imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali”
Viene quindi meno la possibilità per la contrattazione collettiva di derogare a tale norma individuando metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti ma, soprattutto, viene eliminato il “beneficio di preventiva escussione” precedentemente previsto in favore del committente nei confronti dell’appaltatore (o dell’appaltatore nei confronti dell’eventuale subappaltatore).
Sul punto, la previgente normativa disponeva che “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori”. Oggi, tale disposizione viene abrogata.
Dal 17 marzo 2017, quindi, nell’ambito di appalti, qualora il datore di lavoro non paghi i propri dipendenti, o non versi i relativi contributi previdenziali ed assicurativi, il lavoratore potrà direttamente agire contro il committente.
Il nuovo regime rende evidentemente più semplice per il lavoratore ottenere il pagamento delle retribuzioni non corrisposte ma, al contempo, penalizza le imprese della filiera, deresponsabilizzando il debitore principale inadempiente ed esponendo le aziende committenti al rischio di dover rispondere per inadempimenti di altre imprese, senza poter pretendere che vengano previamente esperiti tutti i tentativi per “costringere a pagare” il debitore principale.
In altre parole, è prevedibile che il lavoratore preferirà in futuro – ed in assenza del vincolo di preventiva escussione – chiamare direttamente in causa le imprese della filiera più “virtuose” e “liquide”, piuttosto (o prima) che il proprio datore di lavoro inadempiente.
Oltretutto, se in precedenza nelle controversie in materia di responsabilità solidale il datore di lavoro/diretto responsabile andava sempre convenuto in causa - sicché in caso di esito della causa favorevole al lavoratore, era il datore a rimborsare le spese di lite - oggi sarà l’impresa committente (pur incolpevole per l’inadempimento) a dover rimborsare le spese giudiziali al “dipendente altrui” vittorioso.
E’ consigliabile allora per le committenti (ed anche per gli appaltatori che, a propria volta, subappaltino una parte del servizio o opera a loro affidato) prevedere nei propri contratti di appalto tutele idonee a garantire una maggiore “responsabilizzazione” dell’appaltatore o subappaltatore e meccanismi contrattuali idonei a ridurre il rischio che quest’ultimo accumuli ingenti esposizioni debitorie nei confronti dei propri dipendenti e degli enti previdenziali, prima che di tali debiti venga chiamata a rispondere l’impresa che ha affidato il servizio o l’opera in appalto.
Ad esempio, possono richiedersi all’appaltatore idonee garanzie fideiussorie, ovvero può concordarsi l’accantonamento di una quota del corrispettivo al fine di coprire eventuali inadempienze dell’appaltatore nei confronti dei propri dipendenti, o ancora è possibile subordinare il pagamento di quote di corrispettivo alla prova dell’avvenuto pagamento di retribuzioni e contributi.
Certo, anche tali cautele potranno difficilmente “salvare” il committente nel caso di richieste da parte del lavoratore relativamente a prestazioni lavorative o, comunque, a richieste di differenze retributive che non risultino da busta paga e, dunque, da accertarsi in giudizio.
In questi casi, sarà sicuramente opportuno che il committente convenuto dal lavoratore, chiami in causa l’obbligato solidale (e debitore principale).
La speranza è che la Magistratura del Lavoro dimostri sensibilità all’esigenza di giustizia sostanziale di ridurre il rischio in capo alla committente, chiamando a rispondere delle proprie obbligazioni l’appaltatore.
Non dimentichiamo infatti che, essendo venuto meno con il decreto legge il litisconsorzio necessario con il debitore principale, la chiamata in causa sarà rimessa alla discrezionalità del Giudice: sul punto ricordiamo che la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza 4309/2010 ha ritenuto che nei casi di litisconsorzio facoltativo la chiamata in causa del terzo resta un provvedimento discrezionale del giudice, sicché “il giudice cui sia tempestivamente chiesta dal convenuto la chiamata in causa, in manleva o in regresso, del terzo, può rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la trattazione separata delle cause per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo intrinseci ad ogni sua scelta”.
In conclusione, la novella legislativa, pur rendendo evidentemente più semplice per il dipendente recuperare eventuali retribuzioni non corrisposte, “deresponsabilizza” il diretto responsabile: è demandato alla autonomia negoziale tra le imprese (ed alla applicazione della normativa vigente da parte della Magistratura) il compito di ristabilire un corretto equilibrio tra le esigenze del lavoratore e quelle delle imprese committenti, che porti a far sì che chiamato ad onorare i propri debiti sia comunque, in prima istanza, il datore di lavoro inadempiente.