A cura di Stefano Beretta e Antonio Cazzella
Con sentenza n. 8260 del 30 marzo 2017 la Suprema Corte ha affermato che il verbale di conciliazione stipulato da un lavoratore può essere annullato se quest’ultimo ha prestato il proprio consenso sulla base di un “raggiro” posto in essere dal datore di lavoro. Nel caso di specie, il dipendente aveva accettato il licenziamento, nell’ambito di una procedura di mobilità, in considerazione della soppressione della sua posizione lavorativa risultante dalla lettera di apertura della predetta procedura, ma era stato, successivamente, accertato che il datore di lavoro aveva assunto un altro lavoratore per ricoprire la medesima posizione. La Suprema Corte ha ritenuto che l’inclusione del lavoratore tra le posizioni eccendentarie, evidenziate nella lettera di apertura della procedura di mobilità, costituisce una condotta di “silenzio malizioso”, idonea ad integrare un raggiro laddove ad essa segua un’assunzione per la medesima posizione, affermando che “il silenzio serbato da una delle parti in ordine a situazioni di interesse della controparte e la reticenza, qualora l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con la malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito … integrano gli estremi del dolo omissivo rilevante ai sensi dell’art. 1439 c.c.”.