A cura di Maddalena Saccaggi
Precisamente un anno fa, si è pronunciata la Corte di Cassazione (13 aprile 2016, n. 7313) in tema di infortunio "in itinere" in bicicletta.
Nella specie, la Suprema Corte ha disposto la tutela per il lavoratore che si infortuna nel tragitto "luogo di lavoro-abitazione", compiuto con la propria bicicletta; cassando, in tal modo, la sentenza di appello che aveva negato l’indennizzo al lavoratore, ritenendo un aggravamento indebito del rischio l'uso della bicicletta, per coprire una distanza pari a 750 metri, senza valutarne l'impiego in relazione a vari parametri tra cui la crescente tendenza, presente nella nostra società, all’uso della bicicletta per recarsi al lavoro.
Nello specifico, la fattispecie dell’infortunio in itinere si inquadra nell’art. 12 del d.lgs. 38/2000, il quale riconosce l’indennizzabilità degli infortuni occorsi: durante il normale percorso di andata e ritorno da casa al lavoro, ovvero tra due diversi luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro, oppure durante il percorso dal lavoro a quello per la consumazione dei pasti, in mancanza di una mensa aziendale.
Fino alle sentenza in commento, l’elemento essenziale della fattispecie che doveva sussistere era la necessità dell’utilizzo del mezzo privato come la bicicletta.
L’infortunio in itinere veniva tutelato dall’INAIL solo quando l’uso del mezzo velocipede fosse stato necessitato dalla lunghezza del percorso e dall’assenza di adeguati mezzi pubblici di trasporto, a meno che l’evento non si fosse verificato su piste ciclabili e percorsi protetti. Il discrimine ai fini dell’indennizzabilità, quindi, consisteva nell’escludere la tutela se la lesione fosse stata conseguenza della libera scelta del lavoratore che decidendo di usare il mezzo privato, decideva automaticamente di esporsi a un rischio maggiore (il c.d. rischio elettivo), rispetto a quello gravante sugli utenti dei mezzi pubblici; se invece l’evento lesivo fosse accaduto in una ciclabile, questa equazione non si poteva fare, in quanto percorso protetto ed interdetto al traffico dei veicoli a motore, allora la lesione era tutelata.
Dagli anni 2000, la giurisprudenza ha iniziato a valutare la necessità di ricorrere all’uso del mezzo privato – come la bicicletta (anche in bike sharing!) - non in senso assoluto, ma relativamente ai normali “standards” di comportamento della società civile e in coerenza con la meritevole aspirazione di ogni lavoratore di conciliazione vita-lavoro.
Alle stregua di ciò è la sentenza della Corte di Cassazione n. 7313/2016, che, riconosce l’indennizzo dell’infortunio in itinere in bicicletta, tenuto conto degli standards di comportamento della società civile che stanno emergendo in connessione a valori di rango costituzionale come l’ambiente e la salute.
Perciò, l’uso della bicicletta - per i positivi riflessi ambientali che ha - s’intende sempre necessitato.