Tribunale di Cassino, sentenza 26 gennaio 2017
La sentenza in commento ha affrontato il tema del cosiddetto “prospective overruling”, ossia delle conseguenze che un mutato indirizzo giurisprudenziale, relativo a una regola processuale, può avere sugli atti compiuti in precedenza.
La sentenza ha premesso che - in un sistema giuridico di civil law come il nostro, diverso da quelli anglosassoni di common law - “non vi può essere insensibilità dell’atto compiuto dalla parte al mutamento giurisprudenziale perché questo si tradurrebbe nel riconoscere natura di fonte di diritto alla interpretazione della legge da parte della giurisprudenza stessa”. D’altro canto, “in materia processuale, il valore della certezza e quello della stabilità recano in sé una tendenziale connotazione di preferenza rispetto all’obiettivo dell’esatta interpretazione delle norme, là dove non emergano altri valori superiori”.
Premesse tali considerazioni di carattere generale, e richiamato l’orientamento della Cassazione sul punto, la sentenza del Tribunale di Cassino ha evidenziato la necessità di tutelare l’affidamento di una parte che abbia conformato la propria attività processuale ad un consolidato orientamento giurisprudenziale. Tale affidamento può essere tutelato mediante l’istituto della remissione in termini ex art. 153 e 294 cod. proc. civ. “con il quale è consentito al giudice considerare la parte ‘come se avesse agito correttamente’, con il corollario, frutto di interpretazione costituzionalmente orientata, di ritenere che si tratti di ‘decadenza non imputabile’ “.
Tuttavia, al fine di potersi riconoscere rilevanza all’affidamento, esso deve essere incolpevole, ossia presupporre, da un lato, una consolidata e non controversa interpretazione giurisprudenziale pregressa, dall’altro, un improvviso e repentino mutamento di orientamento della giurisprudenza successiva.
L’affidamento deve essere, altresì, valutato tenendo conto del “dovere di precauzione” necessaria in presenza di divergenti interpretazioni giurisprudenziali e/o norme oggettivamente poco chiare. Infatti, la natura scusabile dell’errore deve essere accertata tenendo conto della massima diligenza a cui la parte è tenuta nelle situazioni dubbie.
Nel caso di specie, la sentenza in commento ha rigettato per intervenuta decadenza il ricorso di un lavoratore relativo all’impugnazione del licenziamento a lui intimato. Il ricorrente aveva infatti depositato il ricorso introduttivo del giudizio oltre il termine di decadenza di 180 giorni previsto dall’art. 6 della l. 604/1966. Più precisamente, il deposito del ricorso doveva considerarsi tardivo facendo decorrere il termine di 180 giorni dalla data di spedizione della lettera di impugnazione del licenziamento, secondo l’interpretazione della norma data dalla cassazione con due recenti sentenze (Cass. civ. sez. lav. 7 ottobre 2015 n. 20068; Cass. civ. sez. lav. 20 marzo 2015 n. 5717). Viceversa, facendo decorrere il termine dalla data di ricezione di tale lettera da parte dell’azienda (seguendo un indirizzo giurisprudenziale divenuto minoritario), il ricorso avrebbe potuto essere considerato tempestivo.
La sentenza del Tribunale di Cassino ha ritenuto inammissibile il ricorso e non invocabile il principio dell’affidamento, alla luce dei principi di diritto sopra richiamati:
Causa curata da Tommaso Targa