A cura degli avv.ti Damiana Lesce e Valeria De Lucia
Il datore di lavoro deve operare nel rispetto della normativa sulla Privacy nell'ambito di tutte le attività connesse all'intero processo aziendale e, in particolare, ogniqualvolta "tratta", in qualsiasi modo e per le finalità connesse alla gestione dei rapporti di lavoro, le informazioni relative ai dipendenti.
Il predetto obbligo, peraltro, sorge ancor prima della stipulazione del contratto di lavoro in quanto rileva anche nei confronti del potenziale datore di lavoro.
In tale ambito, quello della gestione dei dati afferenti ai rapporti di lavoro, la normativa sulla Privacy si interseca con lo Statuto dei Lavoratori.
Cominciando da quest'ultimo, ai sensi dell'art. 8 della Legge n. 300/1970 "E' fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore".
Ed ancora, ai sensi dell'art. 15, 1^ comma lettera a) della medesima Legge, "E' nullo qualsia patto o atto diretto a subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte" della Legge n. 300 del 1970.
La giurisprudenza ha affrontato il tema delle indagini finalizzate all'assunzione, escludendo la legittimità delle indagini estese a tutti gli aspetti della vita privata del lavoratore e, quindi, ai fatti privi di attinenza alle mansioni contrattuali.
Il discrimine tra indagini lecite ed indagini non lecite può individuarsi, dunque, nel carattere determinante o meno delle informazioni in relazione alle mansioni da far svolgere al lavoratore.
In coerenza con la regola generale di cui sopra, non sono state ritenute lecite le indagini, realizzate attraverso colloqui, questionari, test attitudinali o bandi di concorso, finalizzati ad acquisire informazioni afferenti alle caratteristiche morali, psicologiche, comportamentali, alla sfera sessuale, alla vita intima, sentimentale e familiare o sociale degli aspiranti all'assunzione o di loro congiunti o parenti.
Anche il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha affrontato il tema in esame precisando che se un ente o una società, ai fini di una migliore organizzazione del lavoro, intende ricorrere ad analisi statistiche, questionari e valutazioni attitudinali che utilizzano dati personali, deve rispettare sia i limiti imposti dalla legge sulla Privacy sia quelli già previsti dallo Statuto dei lavoratori e da altre norme a tutela dei lavoratori.
E', quindi, illecita la raccolta di dati relativi alla sfera privata del candidato se incide sul diritto alla riservatezza di quest'ultimo e non è significativa rispetto all'accertamento dell'attitudine professionale al lavoro da intendersi come obiettiva capacità, intellettiva o manuale, di svolgere una determinata attività lavorativa.
Connesso al tema di cui sopra vi è poi quello afferente alle modalità di acquisizione delle informazioni (dati) sui candidati all'assunzione (o sui dipendenti): l'approccio comune della normativa internazionale in materia di protezione dei dati personali prevede generalmente che siano i lavoratori la fonte primaria delle informazioni concernenti la loro persona.
Così infatti, la Raccomandazione del Consiglio d'Europa n. R(2015)5 del 2015: "in linea di massima, i dati, a carattere personale dovranno essere raccolti dal lavoratore interessato. Quando fosse necessario consultare fonti esterne ai rapporti di lavoro, la persona interessata dovrà essere informata".
Analoga raccomandazione si rinviene nel "Code of Practice" adottato dall'OIL nel 1997 che al paragrafo 6 recita: "all personal data should, in principle, be obtained from the individual worker".