A cura di Antonio Cazzella
La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 4970 del 27 febbraio 2017 offre l'occasione per una precisazione sugli obblighi in materia di sicurezza gravanti sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 cod. civ. e, in particolare, sulla ripartizione degli oneri probatori nel caso in cui, a seguito di un infortunio, venga proposta dal dipendente una domanda di risarcimento del danno.
La fattispecie esaminata riguarda un lavoratore - caduto da un'altezza di circa 10 metri, mentre stava effettuando un'operazione di disboscamento di una parete rocciosa - che aveva chiesto il risarcimento del danno subito per effetto del predetto incidente.
La Suprema Corte ha ricordato che "il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro, seppure non debba provare la colpa del datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione posta dall'art. 1218 cod. civ. è pur sempre onerato, in base al principio generale affermato da Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 13533, della prova del fatto costituente l'inadempimento e del nesso di causalità materiale tra l'inadempimento e il danno".
A tal riguardo, la Suprema Corte ha già precisato che spetta al lavoratore allegare l'omissione commessa dal datore nel predisporre le misure di sicurezza - suggerite dalla particolarità del lavoro, dall'esperienza e dalla tecnica - necessarie ad evitare il danno, non essendo sufficiente una generica deduzione di violazione delle misure di prevenzione (Cass. 11 febbraio 2015, n. 2687 ).
Con specifico riferimento agli oneri probatori gravanti sul datore di lavoro, la Suprema Corte è costante nel ritenere che egli debba dimostrare di aver adottato, pur in difetto di una specifica disposizione di legge, tutte le misure di prudenza necessarie alla tutela della salute, anche se ciò imponga una modifica dell'attività dei lavoratori (Cass. 10 gennaio 2017, n. 291 ).
Nella fattispecie esaminata dalla sentenza in commento è emerso che il lavoratore era stato adeguatamente istruito e munito di tutti i necessari strumenti di sicurezza.
In questa situazione, è stato quindi chiarito che "il verificarsi dell'incidente, qualunque fossero state le concrete modalità, non potesse essere imputato al datore di lavoro".
In particolare, la Suprema Corte ha affermato che "non può accollarsi al datore di lavoro l'obbligo di garantire un ambiente di lavoro a "rischio zero" quando di per sé il rischio di una lavorazione o di una attrezzatura non sia eliminabile", con la conseguenza che "non può pretendersi l'adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili", poiché, in caso contrario, si configurerebbe un'ipotesi di responsabilità oggettiva, che l'art. 2087 cod. civ. non contempla.