A cura di Stefano Beretta e Antonio Cazzella
Con sentenza n. 24029 del 24 novembre 2016 la Corte di Cassazione ha affermato che non si configura l’ipotesi di mobbing (che, come noto, consiste in una serie di condotte attuate nei confronti di un dipendente con intento persecutorio) nel caso di un lavoratore che, dopo una prolungata inattività, aveva rassegnato le dimissioni. Infatti, nel corso dell’istruttoria è stato accertato che, a seguito di un’acquisizione di altra società, il datore di lavoro aveva dovuto attuare una complessa riorganizzazione, avviando anche una procedura di mobilità del personale in eccedenza; inoltre, le funzioni del dipendente erano state accentrate ed assegnate ad altro lavoratore. La Suprema Corte ha escluso la configurabilità del mobbing anche in considerazione del fatto che il datore di lavoro aveva prospettato al dipendente due posizioni alternative, entrambe rifiutate, e che l’invito a fruire delle ferie arretrate non aveva finalità persecutorie, in quanto volto esclusivamente a consentire, nel frattempo, la ricerca di una nuova soluzione.